lunedì 31 luglio 2023

Come il Fascismo spiega la Biblioteca di oggi


ultima modifica 5/8/2023

«mi fo' ardita di chiedere a codesto Ministero ... attenuare alquanto il divieto assoluto ... la Direzione qualche volta permetterebbe di darle in lettura ... per la cultura nazionale ... facendo eccezione al divieto generale … in favore degli studiosi più maturi e più seri, ... tenuto conto della qualità del richiedente..»


Il Bibliotecario da sempre vive un apparente ossimoro: proteggere i libri della Biblioteca e contemporaneamente rendere possibile ai lettori toccare, sfogliare e leggere quei libri.

Un recente libro di Massimo Balducci mi fornisce la strumentazione per interpretare i comportamenti di autorità e servizio dello Stato verso i cittadini in questa contrapposizione tra necessità di conservazione dei beni culturali e opportunità di metterli a disposizione dei cittadini1. L'autore sostiene che le difficoltà della nostra amministrazione derivano dal fatto che il nostro Stato ha cambiato radicalmente le proprie funzioni passando da uno Stato che, al momento della realizzazione dell’unità nazionale, era chiamato a svolgere prevalentemente la funzione di garante della legalità (Stato regolatore o Stato guardiano), ad uno Stato che accanto alla funzione di garante della legalità aggiunge quella di fornitore di servizi e di garante del funzionamento di infrastrutture (Stato funzionale). Questo passaggio avrebbe richiesto un radicale ripensamento dell'amministrazione (che è il braccio operativo dello Stato). Ma in molti casi il cambiamento ha avuto luogo solo in superficie, limitandosi a modifiche legislative senza arrivare, però, a cambiare i comportamenti della macchina amministrativa. In particolare, Balducci si sofferma sulle risorse umane. Il vero architrave della nostra amministrazione è rappresentato dal meccanismo di inserimento al lavoro del neoassunto reclutato rigorosamente attraverso il concorso. Il neoassunto impara concretamente ad operare per affiancamento, cioè, impara ad operare a seguito delle istruzioni che riceve dal suo superiore e le indicazioni che riceve dai colleghi. Questo fa sì che l’evoluzione della normativa a livello di Costituzione e legge non si trasferisce nei regolamenti, nelle circolari, negli ordini di servizio e nelle indicazioni che il neoassunto riceve dal superiore e dal collega anziano: qui si è sempre fatto così è invece l’imperativo categorico, imperativo che vale anche nei rapporti tra amministrazione e cittadino.

Per capire i comportamenti delle Biblioteche di oggi ripercorriamo schematicamente le soluzioni del passato, in particolare con riferimento all'organizzazione degli spazi della Biblioteca e al rapporto tra libri e lettori2.

Il Regolamento della Biblioteca Reale Borbonica del 1822 ci offre la descrizione delle Biblioteche della prima metà dell'Ottocento.

«La Biblioteca sarà distinta in due parti : la prima destinata a studiarvi sarà aperta al pubblico , … l'altra interamente separata , ed accessibile soltanto agl'impiegati … servirà per conservarvi i libri. Questa parte sarà suddivisa in tre sezioni ; la prima pe' manoscritti ; la seconda pe' le edizioni pregevoli ; e la terza pe' libri di uso». Nella «parte destinata allo studio … sarà ammesso a studiarvi chiunque» ma «soltanto i libri stampati di comune uso , non mai i codici e quelli di edizioni rare e preziose , i quali insiem cogli altri che contengono figure non usciranno mai dalle stanze interne , ma potranno soltanto darsi a coloro che ne avranno tenuto il permesso di S. M. per mezzo della Real Segreteria di Stato di Casa Reale , e dovranno i lettori rimanere in una stanza separata sotto gli occhi di uno de' Bibliotecarii o Scrittori , il quale ne sarà responsabile».

Con i regimi costituzionali del 1848 non cambia la disposizione degli spazi ma il rapporto tra libri e lettori si amplia. Significativo il regolamento del 1876 della Nazionale di Firenze:

«La lettura è libera per qualunque persona e 
per ogni sorta di Libri. Solamente è vietato di 
consegnare ai giovani le opere offensive della 
morale e del buon costume, i Romanzi e gli altri 
libri destinati più alla ricreazione che allo 
studio, ed ai più giovani anche quelli 
pregevoli e di molto valore». 

Al Congresso dei Bibliotecari del 1905 per la prima volta i Bibliotecari affrontano il problema dell'affollamento delle Biblioteche. L'intervento del Conte Moroni, Bibliotecario della Alessandrina, ci fa capire che esistevano anche delle sale riservate a pochi lettori ma solo a protezione di manoscritti e incunaboli. Ci conferma poi che «tutto il patrimonio storico delle Biblioteche, dal secolo XVI in poi, rimane a disposizione del pubblico» in sala lettura. A questo punto esprime le preoccupazioni dei Bibliotecari relativamente al fatto che tutti quei libri, cioè anche e soprattutto le opere di pregio «è permesso di darle in lettura senza alcuna garanzia al primo venuto e senza neanche la sicurezza di sapere chi egli sia». Il Conte, quindi, propone «alcuni espedienti». Il primo è di assegnare «le sale riservate, con le cautele e le garanzie che ne accompagnano l'uso», non unicamente ai lettori dei manoscritti e degli incunaboli, ma bensì a «tutti i lettori di libri ... patrimonio storico della Biblioteca». Il secondo è quello di mettere a disposizione nella sala pubblica «una piccola biblioteca dei libri che possano servire al gran pubblico». Il Professore e Bibliotecario Fumagalli dissentì elegantemente con queste parole:

«La proposta che egli suggerisce non è illiberale, ed egli l'ha dimostrato, ma purtroppo ne ha l'apparenza ed io temo che nessun ministro avrà mai il coraggio di proporre una riforma simile».

Alla fine il progetto del Conte Moroni non passò e una simile soluzione, anche se «servirebbe a diminuire molto gli inconvenienti», fu definita un inganno (una «gherminella») da Gnoli3, il socio Conte comm. Direttore della Nazionale di Roma, in quanto:

«la legge vuole oggi che la biblioteca sia 
pubblica e il bibliotecario non può 
mettere fuori una parte del gran pubblico e dire: 
la biblioteca è aperta a tutti, ma viceversa 
i libri non sono aperti a tutti».

Nel 1907 si ha un primo cambiamento di questi equilibri interni alla Biblioteca. Viene allestita la sala consultazione4 che migliora fortemente i servizi per la lettura. Infatti, la sala consultazione offre immediatamente al suo interno una parte delle raccolte di pregio della Biblioteca che il lettore può prelevare direttamente dagli scaffali senza formalità. Però in questo modo non vi è più equilibrio tra le esigenze dei lettori e le esigenze della protezione dei libri perché è stata eliminata sia la cautela dalla separazione tra magazzino e sala aperta al pubblico sia la preventiva registrazione del libro richiesto dal lettore al Bibliotecario. La soluzione a questa nuova situazione che contempera le esigenze della Biblioteca con quelle dei lettori viene offerta dal Bibliotecario Capo di Firenze in una lettera del 1907 al Ministro. L'idea è di applicare per analogia alla sala consultazione le norme nazionali sul prestito, ossia di limitare l'accesso agli studiosi «ben conosciuti» dalla Direzione a cominciare dagli «studiosi ammessi al prestito senza malleveria». A questo punto il rapporto tra lo Stato e il cittadino oscilla tra un rapporto di servizio e un rapporto autoritario. E questa oscillazione si intreccia con una concezione della società stratificata. Significativa è la soluzione descritta nel 1931 da Luigi De Gregori5:

«La biblioteca Vittorio Emanuele ... era presa d'assalto ogni giorno da una folla promiscua di studiosi professionisti e di lettori occasionali ... È bastato mettere una divisione tra l'una e l'altra categoria di lettori, lasciando esclusivamente ai primi la Biblioteca Nazionale e fornendo in separati locali, con circa diecimila volumi di nuovo acquisto, con cataloghi e con personale proprio, la biblioteca «per tutti», per dare equilibrio a due istituti che prima si minavano a vicenda».

Così lo Stato Fascista era riuscito dove lo Stato liberale si era dovuto fermare. Da quel momento in poi la sala lettura non presenterà più i rischi temuti dal Conte Moroni perché fu adottata la soluzione drastica a cui nel 1905 si opposero Gnoli e Fumagalli. E De Gregori poté ringraziare il Regime a nome dei bibliotecari: «finalmente s'è potuto attuare ... a fiancheggiare l'azione statale ... è sorta da un anno l'Associazione dei bibliotecari italiani».

Nel 1939 Vittorio Camerani scriveva: «Chi sono le persone che devono godere il diritto di uso della biblioteca? … Il miglior giudice sarà sempre il bibliotecario».

Ancora sotto il Fascismo, nel 1942, dopo l'introduzione della censura su stampa ed editoria e delle leggi razziali6 - la Direttrice della Alessandrina Maria Ortiz propone al Ministero, che accetta, di conferire al Bibliotecario il potere di

«concedere il permesso di lettura … facendo eccezione al divieto generale [di lettura delle opere di autori di cultura ebraica] … in favore degli studiosi più maturi e più seri, ... tenuto conto della qualità del richiedente, e di tutte quante le altre circostanze concomitanti».

Infine, nel 1974 nasce il Ministero dei Beni Culturali e il suo apparato assume i compiti dello Stato funzionale del settore cultura. L'anno dopo la Relazione delle Sale di Consultazione della Bncf del 1975 ci indica come la conservazione delle raccolte librarie sia ancora il compito prioritario dei Bibliotecari:

«È stato un anno difficile ... per le seguenti cause: 
1) aumento del pubblico [come nel 1905 e nel 1931]: 
infatti la lettura di tutto il materiale che riveste 
un minimo di rarità e di pregio è stata trasferita 
nelle sale di consultazione per sottrarla all'
assalto dei lettori meno qualificati e male identificati».

E queste ultime parole ci appaiono più chiare se le affianchiamo alla soluzione di identificazione e accreditamento per l'accesso in sala consultazione, così indicata dal professore ed ex Bibliotecario Piero Innocenti durante un'intervista riportata sul suo blog:

«mi trovai di fronte un gentile signore che 
chiedeva con sommessa cortesia ...
 i libri ... sottoponendosi docilmente a
tutte le procedure di identificazione e 
accreditamento».

Questa se pur schematica rassegna è sufficiente per comprendere le Biblioteche di oggi, che incarnano tutte le soluzioni precedenti sia pure adattate dal mutare dei contesti in cui la Biblioteca si è evoluta. Come nella Biblioteca dei primi dell'800 gli spazi sono oggi distinti tra magazzino librario, per la conservazione di libri e rari, e zona aperta al pubblico. La zona aperta al pubblico (nelle Biblioteche maggiori) è divisa in più sale: “lettura”, “consultazione”, “manoscritti e rari”. Dove è possibile anche “musica”, “stampe”, “carte geografiche” eccetera (nelle Biblioteche minori, dove lo spazio disponibile non consente di allestire più sale, di solito tutta la Biblioteca è ad accesso riservato a pochi fortunati a prescindere dalla data di pubblicazione del libro richiesto; in altri casi la distinzione è fatta invece a livello di tavoli, nel senso che i lettori delle opere più pregiate sono tenuti a sedersi nei tavoli accanto a quello del Bibliotecario, come nella Biblioteca del 1822).

L'aspetto che è cambiato di più rispetto al passato riguarda le soluzioni che regolano il rapporto tra lettori e libri, ossia l'uso delle sale distinte tra sala lettura e riservate. La separazione dei lettori ricalca quella dei libri, dalle più importanti sale riservate a quella lettura, in un ordine gerarchizzato nel senso che il cosiddetto studioso ha una tessera che gli permette l'accesso a tutto il patrimonio librario, alla sala che preferisce e può richiedere in sala riservata anche i libri di recente pubblicazione. Questi sono invece l'unica possibilità di lettura per i semplici utenti della sala lettura7. Nonostante tra i compiti dello Stato funzionale di oggi verso i cittadini vi sia la conoscenza, la promozione e la fruizione (sia pure «prudente e avvertita») delle raccolte librarie, per quest'ultima porzione del pubblico non è ancora prevista la possibilità di sfogliare i libri che rappresentano il patrimonio storico della Biblioteca perché questi restano presenti e sono distribuiti esclusivamente nelle sale riservate agli “studiosi”. Oggi come un secolo fa la parola “studiosi” indica il ristretto pubblico che può accedere direttamente ai libri della sala consultazione. Tra questi troviamo i «professori» e gli «studenti con lettera di presentazione dei professori» che, come ci suggeriva il Bibliotecario Capo nel 1907, facevano sicuramente parte delle persone «ben conosciute». Ma il Regio Decreto sul prestito aggiungeva altri soggetti in un lungo elenco di persone. Chi ha buona volontà e così tanto tempo libero da intercettare gli orari di apertura delle Biblioteche può rendersene conto andando in Biblioteca per godere con calma della possibilità di scovare nei cataloghi e poi sfogliare le vecchie raccolte normative del Regno, ma per averne subito un'idea può fare riferimento alle categorie che riecheggiano nei regolamenti di oggi e che possiamo più agevolmente scorrere sul video grazie a internet. In particolare, sul sito della Nazionale di Napoli all'articolo 22 troviamo: rappresentante del Parlamento, ambasciatori, consoli, dirigenti o funzionari direttivi dello Stato o dei Comuni, prelati, professori di scuole secondarie. Nel Regno d'Italia del 1907 queste categorie di persone avevano in comune con i professori ed i loro studenti universitari, ai fini di un accesso controllato alla sala consultazione, il fatto di rappresentare l'insieme delle persone ben conosciute dal Bibliotecario in una società dove lo Stato, l'amministrazione, riconosceva i cittadini “a vista” per la notorietà del loro ruolo sociale oppure perché presentate da una di quelle persone già note. La stratificazione sociale poi facilitava il compito dell'amministrazione perché si concretizzava in una élite limitata di persone che si conoscevano bene tra loro e che si legittimavano reciprocamente. Il Bibliotecario Capo, nell'inaugurare un nuovo servizio dove i lettori possono autonomamente e liberamente prelevare i libri dallo scaffale, sentì il bisogno di proteggere maggiormente quei libri limitando l'accesso in sala consultazione alle persone «ben conosciute», nel senso di ben identificabili e riconducibili ad una élite di persone che si fidano reciprocamente. E tutto questo allo scopo di avere la garanzia di poterle rintracciare in caso di furti o danneggiamenti, così come dovevano essere rintracciabili le persone che non avessero restituito il libro avuto in prestito. Questo era il contesto di allora e le soluzioni ad esso coerente. L'Anagrafe in Italia fu introdotta da Napoleone e inizialmente solo per facilitare l'arruolamento dei giovani dispersi nelle campagne8 e la carta di identità fu introdotta successivamente, nel 19319. Ma nella Repubblica costituzionale e nello Stato funzionale di oggi cosa hanno in comune le categorie di soggetti richiamate? Niente! O forse il solo fatto di concorrere a ridurre notevolmente il numero di persone che potrà sfogliare quelle raccolte in Biblioteche da decenni non più affollate. Qui siamo di fronte ad una vera e propria “traslazione dei fini” dell'amministrazione dovuta al diverso significato che le parole assumono nei doversi contesti culturali che si affermano nei diversi periodi storici. E questa spiega come mai il Bibliotecario di oggi non si accontenta più di identificare i lettori ma richiede l'accreditamento, ulteriori “garanzie” riassumibili nel dover dimostrare di svolgere un'attività di ricerca nelle Università e che le raccolte della Biblioteca siano indispensabili per proseguire tali ricerche10. Ce lo confermano, ad esempio, le regole sul sito internet della Medicea di Firenze11. Ma dobbiamo renderci conto che il Bibliotecario Capo del 1907, se potesse tornare a svolgere il suo lavoro nel contesto di oggi con la stessa diligenza e competenza di allora, non utilizzerebbe più le categorie degli “studiosi” e la lettera di presentazione per rilasciare la tessera della Biblioteca alle persone ben conosciute bensì la carta d'identità che ogni cittadino maggiorenne può facilmente esibire (e che nell'attuale versione detta “elettronica” registra anche le impronte digitali). Ma, come abbiamo visto con De Gregori, Camerani e Ortiz, dopo il Fascismo gli scopi della Biblioteca erano cambiati: la soluzione di identificare i lettori per renderli responsabili della corretta manipolazione del libro-oggetto era stata sostituita con quella di una selezione delle qualità del lettore che chiedeva di avvicinarsi al libro-testo. Quindi nonostante la diffusione dell'uso della carta d'identità una prassi che si ispirava a concezioni superate è sopravvissuta. Non solo perché non si è voluto rinunciare a un potere (vissuto come indicatore di prestigio del proprio ruolo) che nello Stato funzionale è divenuto assurdo e illegittimo ma anche come conseguenza del fatto che l'operatività del Bibliotecario viene trasmessa per affiancamento dal più anziano ai giovani neo-reclutati. Ad esempio, la Relazione delle Sale Consultazione della Bncf realizzata il primo anno dopo l'istituzione del Ministero dei Beni Culturali (oggi Ministero della Cultura) ci fa capire che non fu affatto colto il cambiamento di prospettiva richiesto alle Biblioteche in favore di tutti i cittadini, ossia mettere la conservazione al servizio della promozione e della fruizione. Principio non solo derivante dagli articoli 9 e 3 della Costituzione [ascolta: Bibl'aria e Berardino Simone, Quanto sono pubbliche le biblioteche pubbliche italiane? «Il Ponte. Rivista di politica economica e culturale fondata da Piero Calamandrei» 2005: https://www.podomatic.com/podcasts/biblaria/episodes/2005-10-05T14_32_51-07_00] ma anche ripetutamente affermato dal Legislatore per decenni: nel Decreto-legge che ha istituito il Ministero per i Beni Culturali nel 1974, nel DPR 417/9512, nel Testo Unico dei Beni Culturali del 1999, nel vigente Codice dei Beni Culturali del 2004 (art. 101) e ancora nel DPCM n. 171 del 201413.

Lo schema evidenziato da Balducci per le varie articolazioni dell'amministrazione viene confermato anche nel caso delle Biblioteche. Ci troviamo di fronte ad un fenomeno comune a tutte le pubbliche amministrazioni che risultano particolarmente refrattarie ai tentativi di riformarne i comportamenti in modo da renderli congruenti con le nuove funzioni che ci si aspetta che le strutture pubbliche svolgano a favore della società. Balducci argomenta inoltre che per cambiare l’azione delle strutture statali non basta modificare le norme giuridiche, bisogna intraprendere una pesante azione formativa in grado di agganciare i comportamenti quotidiani agli obiettivi dell’azione pubblica, superando l’effetto deleterio della formazione per affiancamento che si basa sul principio qui si è sempre fatto così!.

1 M. Balducci, Un gatto che si morde la coda ovvero le riforme della pubblica amministrazione, Guerini e Associati, Milano, 2023.

2 Qui va richiamata l'affermazione di «uno dei massimi esperti in conservazione di materiali documentari»: «Credo che sia il caso di sfatare la superstizione che il degrado di questi beni culturali sia accelerato dalla fruizione. Parlo ovviamente della fruizione prudente e avvertita: un libro antico non può essere consultato come si farebbe con un quotidiano che è prodotto per durare un giorno. Ciò premesso, stabilito che è nostro dovere trasmettere ai posteri il patrimonio culturale che abbiamo ricevuto in eredità dai nostri padri, vorrei far notare che anche noi siamo tra i posteri cui spetta il godimento di quelle testimonianze del passato». C. Federici, Un selfie pagato a caro prezzo, https://ilmanifesto.it/un-selfie-pagato-a-caro-prezzo, 17 giugno 2015. (14/7/2023).

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3 Documenti raccolti a cura della Società bibliografica italiana. Milano, Società Bibliografica Italiana Edit., 1905.

4 Rinvio a «SIMONE Berardino», Una democrazia per pochi. I limiti di accesso alle biblioteche statali. 2016. https://www.forumcostituzionale.it/wordpress/?page_id=10343. (14/7/2023).

      5 De Gregori, 1931, https://www.aib.it/aib/stor/testi/degregori3.htm, (14/07/2023).

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6 Rinvio ai libri di Giorgio Fabre, L'elenco. Censura fascista, editoria e autori ebrei,Torino, Zamorani. 1998 e Carlo De Maria, Le biblioteche nell'Italia fascista, Milano, Biblion. 2016.

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7 Lettori che non di rado si tenta di “orientare” altrove: ... è sicuro di aver bisogno di una biblioteca come questa? … è già stato in una biblioteca comunale? ...

8 Rinvio a Marco Meriggi, Gli Stati italiani prima dell'Unità, Milano, Il Mulino. 2011.

9 Secondo l'Enciclopedia del Diritto (Giuffrè, 1960) «il documento di riconoscimento denominato carta d'identità ha la sua regolamentazione giuridica nel t. u. leggi p. s., approvato con r. d. 18 giugno 1931, n. 773. Già nel … 1926 … era prevista … ma … fra le disposizioni relative alle persone pericolose per la società». E ci pare un'ipotesi plausibile che questo precedente ne abbia rallentato l'accettazione e la diffusione tra la generalità dei cittadini.

10 Per inciso, ricordo che non stiamo riflettendo sui compiti delle biblioteche di Facoltà afferenti al Ministero dell'Università ma di un istituto del Ministero della Cultura al pari di Musei, Monumenti aperti al pubblico, ecc.

11 Nella Medicea Laurenziana «la consultazione diretta degli originali è consentita solo per motivate esigenze di ricerca» e questo non solo per i manoscritti ma anche per i libri a stampa. E si esclude il servizio prestito dei libri a stampa più recenti (per i quali le esigenze di conservazioni sono minori e diversamente da quanto previsto dall'art. 54 del superiore DPR 417/95) perché si vuole che tutto resti a esclusiva disposizione dei pochi studiosi “ammessi” in Biblioteca.

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12 Rinvio a B. Simone, La certificazione nelle Pubbliche Amministrazioni. Quale rapporto fra norme ISO e norme giuridiche? [il caso della Biblioteca Nazionale di Firenze], De qualitate, (9), 2002, pp. 25-27. B. Simone, (2014). La “sfida” dei beni culturali. Dalle biblioteche di “conservazione” alla “Biblioteca Pubblica” (Lettera ai restauratori). Bibliothecae.it, 3(1), 233–264. https://doi.org/10.6092/issn.2283-9364/5717, (14/7/2023).

13 «Regolamento di organizzazione del Ministero … Le Biblioteche … svolgono funzioni di conservazione … del patrimonio bibliografico, assicurandone la pubblica fruizione».

Eppure: https://www.archiviando.org/forum/viewtopic.php?f=2&t=3195 (14/7/2023).

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venerdì 10 aprile 2020

Il coronavirus salverà le biblioteche

ULTIMA REVISIONE IL 12/5/2020 .
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La scorsa settimana ho tentato di inviare sul blog degli anonimi Wu Ming alcune riflessioni sulle prospettive delle biblioteche durante e dopo questo lungo periodo di convivenza degli italiani con l'emergenza coronavirus. Con mia iniziale sorpresa sono stato censurato e nessuno dei miei tre Commenti ha passato il filtro del “moderatore” del blog.
Anche se l'articolo che mi aveva suscitato qualche spunto è incentrato sulle librerie, Sisyphus. Il devastante impatto dell’emergenza coronavirus su librerie e case editrici, intervenire sul tema delle biblioteche non mi era parso fuori luogo perché nell'articolo queste sono ricordate accanto agli altri istituti culturali, sia pure per motivi strumentali:

“I lavoratori delle istituzioni culturali – sia pubbliche sia private – come musei e siti archeologici (ma anche delle biblioteche), spesso esternalizzati o assunti in appalto a terzi, dovrebbero essere internalizzati. La circolazione della cultura dovrebbe essere incentivata con spazi pubblici concessi gratuitamente a editori, musicisti, teatranti, per organizzare presentazioni, eventi, rappresentazioni, proiezioni, concerti, e altro ancora.”.

Non potendo inserire le mie riflessioni ho ripensato a questo vecchio blog dedicato proprio alle biblioteche ma che “trascuro” da quando ho avuto l'occasione di pubblicare due articoli esaustivi sul tema delle mille difficoltà a leggere nelle biblioteche italiane: il primo articolo sull'unica rivista di Biblioteonomia che ritengo autorevole, l'altro in una di Diritto Costituzionale (anche se nel frattempo è sparito un mio contributo sul rinnovato sito internet dei restauratori italiani del libro ...) **

Dopo quasi un anno di inattività di questo mio blog voglio anche ricordare il Gruppo Bibl'Aria col quale ebbi un periodo di scambi molto stimolanti, in particolare con Pietro Tumminello e Calogero Farinella. Purtroppo del loro ricco sito internet (www.biblaria-blog.splinder.com non più in rete come tutto il dominio "splinder.com" su cui era stato sviluppato) restano solo delle tracce, come una "pagina" isolata e un audiolibro che riproduce un articolo collettivo già pubblicato sulla rivista Il Ponte, fondata da Piero Calamandrei e pubblicata a Firenze.

Tornando al recente articolo dei Wu Ming, la mia sorpresa nel vedermi censurato in quel sito è stata solo iniziale e superata non appena letto nei Commenti che tra gli anonimi Wu Ming c'è anche un bibliotecario (rinvio alla Premessa nel mio "libretto" del 2010 che contiene una raccolta ragionata di brani scaricabile dalla "pagina" internet La Fruizione negata jimdo :
... Queste pagine hanno una storia particolare che passa attraverso tre delusioni che investono la figura del bibliotecario italiano e il tema dell' uso pubblico delle nostre biblioteche ...).
Per chiarire una volta per tutte questa affermazione voglio precisare che secondo il vocabolario il bibliotecario non è - come amano definirsi gli iscritti alla loro associazione nazionale - un "professionista" ("dell'informazione" o tanto meno di qualche attività tipica dei servizi sociali per la quale non ha alcuna competenza ...) ma è un dipendente pubblico che lavora in una biblioteca. Per cui in Italia o sono impiegati pubblici, o funzionari o direttori di biblioteca e in quanto tali non possono inventarsi il loro lavoro e scegliere le attività che vogliono offrire come se agissero sul libero mercato del lavoro. Visto all'interno di una biblioteca poi il bibliotecario dovrebbe essere, in senso stretto, chi si occupa del catalogo dei libri e degli altri strumenti bibliografici senza i quali è impossibile individuare un libro tra i tanti posseduti dalla biblioteca. Oppure il termine è utilizzato con riferimento a tutti coloro che sono addetti ai diversi servizi necessari affinché quei libri possano essere letti.
[in questi casi il lavoro può essere svolto da un privato (il quale prima di essere "internalizzato" dovrà superare un concorso pubblico...) dipendente di una ditta esterna che comunque dovrà eseguire le direttive dell'ente pubblico]
Eppure, come dirò tra poco, i nostri bibliotecari pubblici da decenni si sono reinventati il loro lavoro e trattano di attività lontane dalle problematiche dei lettori (come fanno i professori universitari di Biblioteconomia, spesso ex bibliotecari) fino a essere diventati portatori di una sottocultura dannosa e tutt'altro che “professionale”. Credo che la diffusione capillare e fortemente prevalente di questa impostazione tra chi si occupa di biblioteche spieghi molto più di altre variabili la disaffezione degli italiani per i libri e per la lettura.
Nei due Commenti degli anonimi Wu Ming ritroviamo un esempio di quella dannosa sottocultura bibliotecaria. 

Scrive tale Mushroom Rocker:
“Io dico sempre che le migliori amiche delle case editrici sono le librerie e le biblioteche. Chi frequenta le biblioteche diventa un lettore assiduo: chi non può permettersi un libro lo prende in prestito, ma anche chi prende in prestito molti libri poi altrettanti ne compra. Quindi è un’istituzione che giova a tutti. Sono un grande sostenitore delle biblioteche e sono stato anche bibliotecario, oltre che libraio ed editore.
Inoltre le biblioteche nei quartieri sono importantissimi presidi culturali ma anche sociali. Oltre a organizzare iniziative, dibattiti, presentazioni, sono anche un luogo frequentato da chi non ha casa e ha bisogno di un riparo dal freddo, di connessione internet, di un bagno. Non è un compito che dovrebbero svolgere le biblioteche, in teoria, ma è importante che lo svolgano e nella maggior parte dei casi lo fanno anche volentieri.
Però se sono chiuse non è colpa delle profumerie, come scrivo anche nell’articolo. Vorrei evitare guerre tra piccoli esercizi mentre invece grosse attività come industrie delle armi o call center sghignazzano.”.

Gli risponde tale Wu Ming 2:
“Purtroppo niente può sostituire una biblioteca aperta al pubblico, specie se ha una di quelle sezioni per bambini e ragazzi dove ci si può sedere, giocare, leggere, sfogliare, rotolare in libertà. Premesso questo, un briciolo del piacere di prendere a prestito un libro e sfogliarlo, lo restituisce in questi giorni la biblioteca digitale dell’Emilia-Romagna […] In pratica, hanno reso libero l’accesso al catalogo regionale dei libri digitali, che si possono scaricare e leggere sul proprio computer (fino a un massimo di 4 al mese e per un periodo di 15gg). […] In alternativa, ci sono sempre i siti con i romanzi di pubblico dominio, come liberliber.it, gutenberg.org, archive.org
Non è una biblioteca, non è un luogo fisico, però almeno sono storie, testi, romanzi. Gratis, per tutte quanti. Come nella sezione download di questo nostro blog.”

Quindi leggendo articolo e Commenti ci si rende conto che da un'idea di biblioteca giustamente affiancata ai musei e agli altri istituti culturali (con i quali ha in comune una raccolta non casuale di beni culturali da promuovere e mettere a disposizione di un pubblico più vasto possibile) si è passati alla ormai consueta (per i bibliotecari) idea riduttiva anzi distorta di biblioteca che purtroppo è tanto inutile per i lettori. Una entità che non è più una biblioteca ed ha scopi e contorni indefiniti: è un ibrido tra una ludoteca e un centro sociale che occupa l'edificio della biblioteca! Questo ibrido si sovrappone ma si discosta dalla biblioteca luogo ideale per la lettura dei libri a tal punto che sarebbe più serio e chiaro cambiarle nome, indicandola ad es. come biblioteka (luogo dove si può fare un po' di tutto, di dibattito ed eventi, di riparo dal freddo, di connessione internet, di gioco per bambini e ragazzi, nonché gabinetto della città; e altre mille varianti fin dove potrà arrivare la fantasia dei bibliotecari per giustificare il loro lavoro in un ente “pubblico”).
Altre osservazioni si possono aggiungere rileggendo i Commenti e ricordando la letteratura “professionale” che li ispira: (1) nell'idea di biblioteka la presenza dei libri è ormai ridotta solamente a quelli di recente pubblicazione che sono anche quelli che si possono prendere in prestito cioè portare fuori dal “luogo della cultura”. Di conseguenza nessuno si preoccupa se la lettura in sede delle raccolte è possibile solo per poche ore e in spazi limitati; (2) quando si fa riferimento alla lettura questa è associata solo al computer, ossia al testo digitale possibilmente letto anch'esso da remoto. (3) Chi si voglia focalizzare sulle problematiche dell'accesso non troverà alcun riferimento a uno dei mille problemi da risolvere per realizzare la fruizione dei libri ma disquisizioni sull' accesso a internet o sulle barriere architettoniche.



Quello che avrei voluto osservare nel sito Wu Ming e che sfugge agli anonimi commentatori è che oggi, in regime di coronavirus - ossia di distanza fisica di sicurezza tra le persone e di mascherine obbligatorie davanti alla bocca - il modello biblioteka (“presidio sociale”) crolla perché realizza un luogo dove è molto difficile garantire agli “utenti” la riduzione del rischio contagio. Parallelamente - e questo è il tema centrale - risorge con forza ormai inaspettata l'idea di biblioteca come luogo di lettura del libro.

E sarebbe ancora meglio definire la biblioteca - volendo dare significato all'espressione valorizzazione del patrimonio librario - come l'unico luogo dove grazie alla efficace presenza di indispensabili servizi finalizzati a una lettura attenta e protratta nel tempo ciascuna persona può realizzare in modo libero e imprevedibile centinaia di passaggi, associazioni e confronti tra autori, idee e contesti storici scoperti nella memoria scritta collettiva contenuta nelle raccolte non casuali di libri:

The reader may go from book to book, like a butterfly, and extract a phrase before dipping into another and another volume. “One book calls to another unexpectedly,” Manguel writes, “creating alliances across different cultures and centuries" 
(Alberto Manguel, così citato da Peter Ackroyd nel 2008. Qui:
http://www.atelieraldente.de/manguel_0h4/documents/Ackroyd%20The%20Library%20at%20Night.pdf)
Raccolte di libri che per essere adeguatamente indagate hanno bisogno che funzioni al meglio il luogo ideato appositamente per contenerle; luogo che spesso è a sua volta un bene culturale. Raccolte che non possono essere sostituite dalle copie digitali dei testi anche perché costituite da oggetti che sono dei beni culturali in quanto tali: realizzati con finalità, formati, conoscenze tecniche e componenti diversi nelle diverse epoche. Oggetti tridimensionali diversi tra loro capaci con la loro materialità di suscitare nel lettore una pluralità di rapporti: estetico, di curiosità e di suggestione temporale che lo aiuta a storicizzare quella memoria scritta. 

Ritengo significativo che anche in un altro articolo scritto in questi giorni (non a caso messo in evidenza sul sito emergenzacultura.org "coordinato" da Tomaso Montanari, dalla Associazione lettori Bncf, e altri …), Bibliotecari resistenti al virusnon si sia in grado di mettere a fuoco i cambiamenti che saranno costretti ad affrontare le biblioteche e i loro lettori.
Anche qui si esaminano i problemi dei bibliotekari (nel senso di coloro che svolgono in biblioteca una qualche attività inutile o quasi per la raccolta di libri posseduta e per i lettori). E di nuovo sembra non ci si renda conto di sostenere una idea di biblioteca che molto ha da temere dalle nuove problematiche conseguenti alla diffusione del coronavirus, con le quali dovremo imparare a convivere ancora a lungo:

“Una biblioteca non è solo un luogo fisico, è un collettore di esperienze, un catalogo, memoria, progettualità, libri, gaming, cd, dvd, responsabilità civica, giochi, formazione, informazione, letture ad alta voce, videogiochi, laboratori, digitale, servizi al pubblico, reference, sperimentazione. Elementi differenti ma uniti da un solo filo conduttore: il benessere sociale e culturale di quelli che la attraversano.”



Riflettendo oggi su simili approcci si può dire che fino all'avvento del coronavirus nella biblioteka l'obiettivo è stato relativamente facile: attirare numeri crescenti di “utenti” (meglio ancora se solo contatti virtuali) facendo leva sulla gratuità dell'uso dell'edificio. Dico utenti e non lettori perché purtroppo sono decenni che i bibliotecari italiani hanno rinunciato a porsi come obiettivo l'aumento dei lettori e la promozione delle raccolte della biblioteca. E l'abbandono dell'idea di biblioteca vera e propria per inventarsi nuovi “modelli” ha reso più facile gonfiare impropriamente le statistiche dei “lettori”, quelle che all'esterno giustificano la permanenza della biblioteca e le pretese di chi ci lavora verso l'amministrazione pubblica di appartenenza: la biblioteka è ormai uno strumento plasmato sulle esigenze dei bibliotecari (comunali, provinciali, ministeriali, ecc). Ma i numeri di quelle statistiche non rappresentano più lettori vecchi e nuovi: proprio per definizione di biblioteka!
Affermazione facilmente verificabile nelle più familiari biblioteche di quartiere ma valida anche per le biblioteche storiche (quelle che con più facilità vengono associate ai musei e agli altri istituti culturali).
Anche nelle biblioteche storiche, che già sono dai più praticamente sconosciute o erroneamente non considerate istituti culturali aperti al pubblico,
[ad es. quanti dei numerosi cittadini che possiamo vedere in coda fuori dal Museo degli Uffizi sono a conoscenza dell'esistenza, lì a pochi passi dietro le loro spalle, della Biblioteca degli Uffizi, il cui ingresso è gratuito per Legge ma che i bibliotekari negano o limitano a 2, 3 persone da loro arbitrariamente scelte? Perché simili Biblioteche non "promuovono", anzi, impediscono al pubblico la "fruizione" delle raccolte come prevede la Legge sui beni culturali? E allora a cosa servono dei dipendenti pubblici in questi "istituti culturali"?]
         anche nelle biblioteche storiche, dicevo, è normale imbattersi in bibliotekari che teorizzano e praticano l'idea di una biblioteka dove i libri fisici sono un pesante e polveroso sovraccarico di lavoro sostituibile con “la rete” e i lettori non sono necessari, anzi sono un disturbo, motivo per cui vengono dissuasi e selezionati all'ingresso applicando leggi abrogate da mezzo secolo. Chi avesse dubbi dovrebbe riflettere su quanti cittadini siano di fatto esclusi da quelle biblioteche per l' "abitudine" a concentrare il lavoro dei bibliotekari ministeriali sulla mattina (8 - 14) e la conseguente chiusura nel primo pomeriggio dell'intera biblioteca o dei servizi per la consegna dei libri ai lettori che non possono recarsi in biblioteca la mattina (magari perché lavorano, non perché troppo pigri per alzarsi presto!). O più semplicemente chi avesse ancora dubbi che il virus della biblioteka abbia contagiato solo le biblioteche contemporanee dovrebbe osservare il fatto che sono sempre più deserte le sale “riservate” (l'unico luogo dove gli ingiustamente privilegiati che riescono ad accedervi sono liberi di scegliere tra tutte o quasi le migliaia di libri, di tutte le epoche storiche, posseduti dalla biblioteca). Nelle sale riservate ormai da anni si vedono così poche persone che già oggi potremmo dare per scontato che lì la distanza di sicurezza tra i lettori sia assicurata!
[MIBAC - Direzione Generale per i Beni Librari. 2002: "In merito all'esposto ... relativo a presunte violazioni di legge ... Le particolari garanzie richieste per l'accesso alle sale riservate ... sono comuni anche ad altre biblioteche ... L'utilizzo di forme alternative ... non risolverebbe il problema ... perché si perderebbe quella minima garanzia data da una "lettera di presentazione"]
Perciò anche nelle biblioteche storiche si pone il problema di giustificare l'esistenza della biblioteca e di chi ci lavora, di “fare utenti”, con mostre e eventi che gonfiano i dati ufficiali sui presunti “lettori della biblioteca”. Infatti in quei dati si sommano impropriamente le presenze di tutti coloro che sono esclusi dalle sale riservate. Gli studenti che affollano i tavoli delle "sale lettura" dei libri più recenti i quali leggono solo il proprio libro portato da casa (sempre più spesso leggono solo sui propri pc) e le persone che entrano in biblioteca solo per il tempo di ritirare o riconsegnare un libro preso in prestito.
Infine non di rado le statistiche “dei lettori” sono totalmente inattendibili per un altro motivo. Perché rappresentano gli ingressi registrati anziché il numero di presenze reali. Mi riferisco al fatto che ogni giorno la stessa persona fisica che per entrare in biblioteca deve strisciare una tessera o passare da un tornello o riempire un modulo, statisticamente viene contata almeno 2 o 3 volte. È normale infatti che il lettore vero e proprio si trattenga ore in biblioteca e quindi nello stesso giorno esca dalla biblioteca per una o più pause (caffè oppure sigaretta o telefonata che sia) per rientrare dopo poco registrando nuovamente il suo ingresso: ma si tratta sempre della stessa persona! Le statistiche ufficiali sul numero di utenti delle biblioteche statali propongono quindi dati per eccesso e sono molto più inaffidabili rispetto ad esempio a quelle sul numero di biglietti venduti da un museo. E questo dovrebbe preoccupare l'Amministrazione locale o centrale (e qualche altro organo dello Stato con funzioni di controllo della spesa pubblica). Quando il numero crescente di cittadini che fruiscono degli istituti culturali diventi un indicatore di “performance” che premia con un salario aggiuntivo o “variabile” i bibliotecari pubblici, il costruire dati distorti per eccesso potrebbe portare danni ingiusti e pesanti alle già scarse risorse pubbliche (oltre a indurre comportamenti organizzativi opposti allo scopo di quegli istituti). Comunque, invito chi legge a provare a mettere in relazione il numero annuo di lettori dichiarato sulla Carta dei Servizi della biblioteca che conosce meglio con il numero di giorni effettivi di apertura e il numero di posti di lettura disponibili. Potrà capitare di dedurne che quei dati avrebbero senso solo nell'ipotesi che in media tutti i giorni dell'anno – compresi i mesi estivi, le settimane precedenti le festività nazionali e quelle successive alle sessioni di esami universitari - tutte le sedie sono state necessariamente occupate da più lettori (…).



Ma analizziamo questo triste panorama in prospettiva, dopo che le biblioteche e tutti gli istituti culturali sono stati chiusi. La necessità di rispettare il “distanziamento sociale” ci accompagnerà probabilmente fino alla scoperta di un vaccino che sconfigga il coronavirus. Fino ad allora “niente sarà come prima”.
La prima constatazione è che il coronavirus ha imposto un argine inaspettato al processo degenerativo di sostituzione dei lettori con gli “utenti”. Ma mentre la biblioteka (luogo di svago sociale) dovrà restare chiusa per anni la “vera” biblioteca (istituto culturale, luogo di lettura, dei possibili mille percorsi individuali di scoperta tra i libri che possiede) ha in se stessa le risposte contro il coronavirus! Addirittura le biblioteche [e gli archivi] potrebbero riaprire prima degli altri istituti, ad esempio dei musei, perché possono facilmente essere messe nelle condizioni di minimizzare il rischio contagio.



Basta riflettere sulle modalità di fruizione delle loro raccolte, ossia dei libri. La lettura richiede concentrazione, magari silenzio, ed è una attività individuale che si effettua seduti davanti a un tavolo senza bisogno di spostarsi da una sala all'altra e quindi senza il rischio di avvicinarsi accidentalmente agli altri utenti dell'istituto culturale o a chi ci lavora. Di più, si possono applicare immediatamente le semplici ed efficaci misure di prevenzione per chi ha bisogno di fermarsi in un luogo aperto al pubblico - quelle già sperimentate in bar e ristoranti – consistenti nel tracciare a terra dei percorsi obbligati e separati per chi entra e per chi esce e nell'alternare i tavoli che la singola persona può occupare (qui per leggere) con i tavoli lasciati vuoti. Questo purtroppo dimezzerebbe i posti di lettura attualmente disponibili ma allo stesso tempo potrebbe anche essere uno sprone a recuperare nuovi spazi per la lettura: come quelli oggi "occupati" dalle attività introdotte dalle biblioteke, o magari eliminando qualche vetrinetta che espone libri che così nessuno può sfogliare o utilizzando i lunghi corridoi degli edifici storici fino ad oggi lasciati vuoti.
Ancora, sarebbe utile recuperare un compito che era proprio degli addetti nelle prime biblioteche, almeno in quelle di un paio di secoli fa. Mi riferisco alla consegna diretta dei libri provenienti dal magazzino. Oggi i libri si potrebbero lasciare proprio sul tavolo vuoto più vicino al lettore, che rimarrebbe seduto al suo posto. Questo all'origine rispondeva a misure di prevenzione dei furti mentre oggi ben risponderebbe alla nuova esigenza di limitare al massimo le possibilità di contatto tra i lettori eliminando le file davanti all'ormai familiare banco della distribuzione.
Un altro adempimento a cui siamo obbligati a causa del coronavirus è il mantenere frequentemente pulite le mani. Ebbene è sorprendente ricordare che - come insegnano i restauratori - in una biblioteca prima di toccare le pagine del libro e di passare da un libro all'altro dovremmo fare lo stesso. Questa raccomandazione risponde al fondamentale scopo di contribuire a preservare il libro letto dal lettore di oggi per i lettori futuri: la difficile situazione di oggi potrebbe così stimolare il lettore a metterla in pratica senza fatica o pigrizia. Inoltre le biblioteche sarebbero spinte a rendere completo il catalogo elettronico (consultabile anche dalla postazione personale sul proprio pc) per limitare al minimo gli spostamenti verso il catalogo cartaceo.
Infine penso che avrebbe un impatto positivo anche una sospensione del prestito (dando per scontati orari di apertura della biblioteca lunghi e comodi) o almeno una sua limitazione ai libri moderni ma non recentissimi: quelli non più disponibili nelle librerie o "fuori commercio". Ciò sarebbe vantaggioso sia all'interno della biblioteca riducendo molto gli ingressi occasionali, sia all'esterno perché (contrariamente a quanto sostiene l'anonimo commentatore) limiterebbe il danno economico e la “concorrenza sleale” che da sempre le biblioteche fanno alle librerie, anch'esse duramente colpite dagli eventi determinati dalla diffusione del coronavirus.

Insomma, le riflessioni sulla situazione delle biblioteche italiane al tempo del coronavirus potrebbero sintetizzarsi così:

Il coronavirus ha chiuso le biblioteke e mandato a casa i bibliotekari. Se è rimasto qualche bibliotecario in Italia, speriamo che riapra al più presto le biblioteche! (*)





(*) Dovremmo riportare un po' la centralità sul materiale fisico ... Non possiamo prescindere probabilmente ... da alcuni strumenti del digitale. Mi interesserebbe moltissimo capire quanto gli strumenti del digitale effettivamente consentono un ritorno di presenze nei luoghi, cioè di frequentazione dei luoghi. Perché alla conoscenza del materiale ... con l'esperienza virtuale ... mi domando se poi corrisponda effettivamente la volontà di accedere al patrimonio - da parte delle persone che si sono avvicinate in questo modo ai libri, ai documenti, ai testi - oppure no 

(Melania Zanetti, Presidente AICRAB.
Oltre le mostre. Proposte per una diversa valorizzazione del patrimonio archivistico e librario.
Tavola rotonda del pomeriggio: Introduzione. VIDEO [dal minuto 3:05])





**  Recupero qui le sole parti originali di quell'estratto dal mio articolo del 2014:


La sfida culturale dei beni culturali, ovvero, 
Abbattere la fortezza: 
dalla biblioteca "di conservazione" alla biblioteca di fruizione. 

(...) Le biblioteche, non andrebbero più valutate solo per l'importanza delle raccolte, che immeritatamente si trovano a custodire in magazzini inaccessibili, ma per il numero di posti di lettura e i servizi a questa accessori che possono offrire ai lettori delle opere possedute. (...)
Grazie al livello medio-basso delle "informazioni" che offre, e all'innesto di innumerevoli attività improprie o che prescindono dalla lettura (tipiche di un centro ricreativo, di una sala giochi o di un internet point), la "biblioteca pubblica" sarebbe l'unica "aperta al pubblico": l'unica a cui può e deve rivolgersi la persona "comune". In questi termini la "biblioteca pubblica" è spesso implicitamente contrapposta alla biblioteca con opere antiche o “di conservazione” (o, appunto, "non pubblica"!). Questa contrapposizione si può facilmente riscontrare, sfogliando la letteratura, per un altro aspetto. Mentre gli scritti sulla "biblioteca pubblica" stupiscono per il loro numero e per le fantasiose proposte di innovazioni, sulla biblioteca di "conservazione" (come dice il nome stesso) vi è assoluta mancanza di nuove idee su come realizzare (impegnativi) servizi ai lettori, capaci di "valorizzare" il patrimonio librario custodito.
A cominciare dalla sperimentazione di aperture nel secondo pomeriggio e serali. In questo caso chiunque può verificare con immediatezza (sui siti delle biblioteche di tutta Italia) che i bibliotecari evitano il più possibile di garantire aperture al pubblico nelle fasce orarie pomeridiane e serali (le quali nella maggior parte dei casi sono possibili solo se presente personale di cooperative private o volontari). Ma sarebbe ingiusto pensare che ciò rappresenti un caso di pigrizia o addirittura di accidia. Gli orari di apertura, come tutti i servizi offerti da una biblioteca "di conservazione", compresi quelli che ai non "esperti del settore" possono apparire pratiche assurde o gravi "disservizi" (fino ai costi esosi delle riproduzioni dei libri: rinvio al sito Fotografie libere per i beni culturali), sono esempi di una secolare "professionalità" (giunta fino a noi dopo aver smarrito la consapevolezza delle diversità nella situazione e nelle problematiche che si volevano risolvere nel contesto originario). Gli orari di apertura e quelli di distribuzione dei Libri sono l'esempio di un'alta specializzazione nel prevenire i vagabondi, le letture frivole ed il guasto dei libri:

Nel caso che per la lettura sieno permesse le ore della sera, quali ne sono i vantaggi e quali gli inconvenienti? I bibliotecari più autorevoli hanno trovato e confermato in questo permesso tali inconvenienti da superarne i vantaggi. (…) Si osservò che particolarmente nelle grandi biblioteche, le quali contengono opere preziose e rare, le ore della sera non sono adatte alla lettura. Esse favoriscono principalmente le letture frivole ed il guasto dei libri, e quindi dovrebbero venir soppresse. All'incontro devesi raccomandare l'aumento delle biblioteche scolastiche, professionali e popolari. Particolarmente queste ultime dànno eccellenti risultati. È mirabile il vedere il rispetto col quale il povero, il semplice operaio riceve il libro che gli viene affidato (...) È desiderabile che queste biblioteche restino aperte il più dei giorni e delle ore possibili (Congresso statistico di Firenze 1867).

Del resto le restrizioni sono in vigore anche nei paesi più liberali. Al British Museum non si può entrare senza un biglietto personale, nelle biblioteche tedesche si ritarda la consegna del libro per tre ore, perché non esistono distributori che nelle biblioteche municipali, e una volta chiesto si può liberamente tenere fino al termine della lettura. In questo modo si allontanano tutti i vagabondi e si risparmiano tempo e denaro. (VI Riunione Bibliografica Italiana. 1904).

La Nazionale [di Napoli] è un posto per metà fausto e per metà infausto: tu vai alla mattina, accarezzi un po' il bidello e ti portano 10 manoscritti; ma quelli collocati dietro la porta in ferro bisogna restituirli alle 1,30, perché c'è una funzionaria che deve andare via alle 1,30. Sono vergogne che devono finire. Noi andiamo a studiare alla Vaticana e quando sono lì mi si apre il cuore. Padre Boyle è un eroe che dalle 7,30 del mattino fino a notte, è sul campo; e ogni volta che vado alla Vaticana trovo qualche novità. (Billanovich. 1994).


Di fatto, per le biblioteche "di conservazione", le periodiche doglianze sui livelli di retribuzione, sulla carenza di risorse e personale esauriscono lo spirito di autocritica sui servizi offerti:

Non si vuole giustificare una gestione delle biblioteche ( ... ) affidata alla semplice routine, priva di impegno e di volontà innovativa ( ... ) visibilmente insensata. ( ... ) È vero che il personale si riduce ( ... ) ma i rapporti con il pubblico, la cura delle sezioni ( ... ) sono spesso trascurati e senza alcuna giustificazione possibile. Si sente il peso di una tradizione che appunto ( ... ) ha fatto sì che il sistema bibliotecario italiano sia da molto tempo insufficiente. (Imbruglia. 2014).

Una mentalità curiosa, quella del conservatore che deve difendere l'oggetto, il libro, fino al punto di precluderne l'uso. Un illustrissimo collega, dotto uomo, che si chiama Armando Petrucci, forse il nostro migliore paleografo, anni fa chiedeva nella Biblioteca Nazionale di Roma, un volume presente nella riserva. Egli era forse uno dei due o tre cittadini al mondo in grado veramente di adoperarlo e fruirne. La richiesta di averlo in lettura gli fu negata, al che Petrucci rispose: «allora bruciamolo!». Effettivamente l'unica soluzione dinanzi a tanti divieti è bruciare, cosa che naturalmente non avviene. L'idea ottusa di conservazione sta portando a questo genere di assurdità. (Canfora. 2013).


Se si riflettesse su cosa voglia dire che anche il libro è un bene culturale, insieme all'utilizzo fuorviante dell'espressione "biblioteca pubblica", verrebbe superato anche quello strumentale della parola "studioso". Con il termine "studioso" non si indicano semplicemente gli utenti della biblioteca nel momento di leggere, studiare, approfondire, ma quei pochi lettori che abbiano dimostrato – ad insindacabile giudizio del bibliotecario – di possedere titoli, referenze e qualità valide per "essere ammessi" in una biblioteca del Ministero dei Beni Culturali e per avere accesso al libro- bene culturale (per brevità, Libro). Quel termine, nei regolamenti contra legem scritti dai bibliotecari "conservatori", rappresenta per alcuni un privilegio e per la maggioranza delle persone un ostacolo artificioso e insormontabile tra l'utente potenziale ed il bene culturale immeritatamente custodito. (...)
Non pare possibile riuscire a trovare una spiegazione razionale a un'idea tanto diffusa quanto assurda di "conservazione" e giustificare o comprendere il perché qualcuno voglia isolare il patrimonio librario dalla società civile. Forse, la strumentalizzazione delle cosiddette esigenze di "conservazione", le regole incerte, scritte in avvisi che variano a seconda delle esigenze (o della persona che reclama) o comunque non conformi alle fonti superiori (art. 26 DPR 417/1995), come l'indeterminatezza nell'uso del termine "studioso" e la distorsione del concetto di "biblioteca pubblica", sono solo i mezzi per mantenere una posizione di potere arbitraria e quasi paralizzante. Potere rispetto al quale nessun cittadino - dal lettore "comune" all' illustrissimo collega, dotto uomo - si può sentire al sicuro:

Di fronte all'impatto cumulato delle circostanze avverse, potrebbe venire spontaneo paragonare il bibliotecario ad una sentinella (...) : non conosce i libri, e non è quindi in grado di regolamentarne ragionevolmente l'accesso; considerato responsabile dell'integrità di un fondo senza avere la formazione necessaria, tenderà logicamente a privilegiare il suo ruolo di sentinella e a rifugiarsi in comportamenti radicali, ispirati non tanto dalla preoccupazione di tutelare i libri, quanto dal comprensibile desiderio di perpetuare la propria tranquillità (Maniaci. 2005).

Una fortezza è caratterizzata come un fenomeno monopolistico nell'ambito dell'organizzazione. L'isolamento ad oltranza e il ripiegamento su se stessa di cui fa prova un'unità organizzativa si traduce nel fatto che tale unità (...) si trova a controllare un'incertezza chiave per i terzi (...); questo controllo permette a questa unità d'imporre ai terzi le condizioni di scambio e le permette di fruire dei vantaggi relativi a una posizione di potere. Tale unità operativa si chiude al mondo circostante a cominciare dai rapporti con le unità con cui confina direttamente. Tale unità eleva le proprie procedure, le proprie concezioni ed i propri interessi al rango di criteri a valore assoluto, impone le sue regole del gioco agli altri e svolge una funzione conservatrice quasi paralizzante. (...) Abbattere le dinamiche della fortezza richiede una vigilanza molto acuta e una capacità d'intervento sofisticata. La cosa migliore sarebbe di prevenire (...) Il costo d'eventuali interventi tardivi o chirurgici – anche se alto – è più che giustificato. (...) L'effetto fortino non rappresenta un problema morale (...). L'effetto fortino è un cancro che appesta il collettivo e la capacità di gestire la complessità e che, non solo uccide gli abitanti del fortino, ma anche quelli dei territori circostanti. (Michaud, Thoenig. 2004).

La crescente, talvolta quasi risentita, sottolineatura della conservazione come compito primario delle biblioteche storiche ha indotto alla coniatura di una nuova (non mi risulta essere mai circolata nel linguaggio bibliotecario sino a un decennio fa) distinzione, quella fra « utenti propri » ed « impropri »: e questo neologismo non è rimasto racchiuso nel garbato, e quasi bizantino, limbo della precisazione terminologica, ma si è caricato di concretissimi effetti e di radicali discriminazioni (…) Ma una volta ammessa la liceità di erigere questo steccato, o addirittura questa barricata, nella folla (in realtà sempre benefica e mai troppo numerosa) dei lettori, con quale criterio si stabilirà chi accogliere e chi escludere? (Berengo. 1994).

Se fornire il libro al lettore è diventato compito troppo difficile e ritenuto comunque non essenziale, si lavora indefessamente a organizzare mostre, sui temi e sugli argomenti più diversi, con l'ovvia distrazione di personale e fondi da altri compiti, con la chiusura di sale, con il sequestro del materiale librario sottratto per molto tempo alla consultazione; e si diffonde sempre più l'idea che invece del libro basta fornire al pubblico una generica informazione sui libri via computer, umiliando così sia il lettore generico, che in realtà vorrebbe soprattutto leggere, sia il ricercatore che in genere di questo tipo di « informazioni » non ha bisogno, e che invece vorrebbe avere la possibilità di utilizzare al meglio, direttamente e rapidamente, il patrimonio librario conservato (...) Vanno al più presto restaurati e rispettati nelle biblioteche pubbliche statali: il diritto all'informazione, il diritto all'accesso, il diritto al libro, il diritto d'uso e di vivibilità (Petrucci. 1994). 

(...)
Le dinamiche della fortezza hanno agito già 10 anni prima del Codice. Le biblioteche "di conservazione" italiane neutralizzarono facilmente l'indicazione di "valorizzare" il nostro patrimonio librario, indicazione data dal Legislatore con l'introduzione di un nuovo regolamento generale delle biblioteche statali. (...)
Oggi potrei aggiungere che quella norma si è rivelata inadeguata a riformare il settore (anche) perché il Legislatore non ha considerato o ha sottovalutato le "resistenze culturali" del contesto su cui voleva incidere, lasciando troppa autonomia a una Amministrazione incapace di interiorizzare la sfida e innovarsi spontaneamente. Un errore di analisi e di metodo che – mi auguro - non sarà ripetuto nella nuova riforma annunciata quest'anno dal Mibact, la quale anzi dovrebbe consapevolmente ed esplicitamente essere elaborata e comunicata con l'obiettivo di abbattere le dinamiche della fortezza e sradicare il cancro dell'effetto fortino.
Le principali leve della regolamentazione del servizio dovrebbero essere disciplinate a prescindere dalla volontà della Amministrazione dei beni librari. Mi riferisco a un orario di apertura al pubblico (e della distribuzione) uniforme su tutto il territorio nazionale (con l'accorpamento di raccolte e personale non in grado di garantirlo), dove non si confonda l'orario di apertura (funzione delle "esigenze dell'utenza", secondo il buon senso e il D.Lgs. 165/2001, art. 2) con l'orario di lavoro (funzione dell'orario di apertura, non viceversa). A una tessera d'ingresso unica per tutti gli istituti (biblioteche e archivi), a un regolamento-tipo per tutte le biblioteche che il direttore- bibliotecario (o il direttore-restauratore ... ) possa integrare solo per i dettagli. Aggiungerei elaborazioni centralizzate (grazie alle tessere uniche) delle informazioni sul numero dei lettori e dei Libri richiesti (al netto degli ingressi per il prestito), a cui collegare il salario variabile degli operatori. E il divieto esplicito di qualsiasi attività diversa dai servizi per la fruizione delle raccolte custodite dalle biblioteche. A cominciare dalla cosiddetta "pubblica lettura" ovvero la lettura di libri propri (analogamente a quanto accade nei musei, dove nessun utente occupa le sale attrezzate per esporre al meglio un proprio quadro o la propria statuetta). Ancora, drastica riduzione delle mostre: solo in occasione di importanti acquisizioni, oppure per far conoscere cosa si fa per il recupero del Libro e per pubblicizzare il ritorno al pubblico del materiale restaurato (queste sarebbero probabilmente le occasioni ideali a cui collegare inviti al mecenatismo in favore della biblioteca ...). Ecc. Ecc.

Concludo con un augurio. Che la comunità dei restauratori del nostro patrimonio librario possa, nei suoi dibattiti e scritti, contribuire a superare l'idea ottusa di conservazione. E riesca a emarginare, con un approccio attento e razionale, le suggestioni "pseudo-tecniche" della biblioteconomia più recente, suggestioni dannose per tutto il settore della Conservazione. Arrivando anche a valorizzare e rendere patrimonio comune la dimenticata tradizione secolare delle Biblioteche Pubbliche qui richiamata (con la quale di recente si è raccordato anche il Legislatore italiano, con la definizione di biblioteca all'art. 101 del Codice dei Beni Culturali):

Rispetto a questi primordi c'è però una svolta storica che segna la storia dell'Europa, e non soltanto la storia del Paese in cui quel fenomeno si produsse: la Rivoluzione francese. La Rivoluzione è ritenuta, giustamente a mio giudizio, il fenomeno creatore della biblioteca in senso moderno, della biblioteca cioè che ha come destinatari i cittadini tutti. Essa nasce da un processo violento, cosa forse inevitabile (…) L'idea di base era portare alla Nazione – la parola Nation nella Rivoluzione ha un'importanza enorme, ( ... ) la Nation vuol dire tutti i cittadini, la totalità del corpo civico – la cultura nascosta dentro a queste realtà antiche, consolidate, che sono quella ecclesiastica e quella politica. (Canfora. 2013).

Regolamento della Biblioteca Salvatore Tommasi. (...) ART. 19 - La lettura è libera per qualunque persona e per ogni sorta di opere esistenti nella biblioteca. (L'Aquila.1884).


Si realizzerebbe così finalmente un'altra pre-condizione indispensabile per una sensibile crescita dell’interesse per la fruizione del nostro patrimonio librario e documentario. Parallelamente - è probabile oltre che auspicabile - aumenterebbe anche la disponibilità delle Istituzioni a investire nelle strutture bibliotecarie, nelle raccolte, nei cataloghi e nei restauri.


Berardino Simone
(utente occasionale "non studioso" di Biblioteche Pubbliche)
Settembre 2015.









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giovedì 18 aprile 2019

Perché allontanare i bibliotecari dalle biblioteche!

ULTIMA MODIFICA, 23/6/2019
1. - ANCORA CENSURA NELLE BIBLIOTECHE ITALIANE 
(1869 - 2017)
Dal 29 agosto 2017 finalmente libere le fotografie con mezzo proprio in archivi e biblioteche: questi istituti culturali hanno dovuto aggiornare i loro regolamenti per applicare la nuova legge. Ma in questa occasione come sono state applicate le norme che stabiliscono la libera fruizione delle migliaia di libri "nascosti" nelle biblioteche?





"Nel caso che per la lettura sieno permesse le ore della sera, quali ne sono i vantaggi e quali gli inconvenienti? I bibliotecari più autorevoli hanno trovato e confermato in questo permesso tali inconvenienti da superarne i vantaggi. (…) Si osservò che particolarmente nelle grandi biblioteche, le quali contengono opere preziose e rare, le ore della sera non sono adatte alla lettura. Esse favoriscono principalmente le letture frivole ed il guasto dei libri, e quindi dovrebbero venir soppresse. All'incontro devesi raccomandare l'aumento delle biblioteche scolastiche, professionali e popolari. Particolarmente queste ultime dànno eccellenti risultati. È mirabile il vedere il rispetto col quale il povero, il semplice operaio riceve il libro che gli viene affidato".

(Congresso statistico di Firenze, 1867)





Archivio BNCF A75 busta 507 fascicolo 4

Firenze, a dì 21 novembre 1907
Secondo fu già accennato nella Relazione dei lavori compiuti nel 1906-1907, in questa Biblioteca, essendo ormai approntata la Sala di studio riservata con una raccolta di opere di consultazione, mi pregio di presentare preventivamente al Ministero le norme con le quali verrà regolato l'accesso e l'uso a detta Sala.
Conforme si pratica già altrove, l'accesso alla Sala riservata sarà limitato alle persone che ottengono dalla Direzione la tessera per ciò: e la tessera verrà data normalmente a tutti gli studiosi ammessi al prestito senza malleveria, ma potrà venir conceduta anche ad altri, se ben conosciuti dalla Direzione, e compatibilmente col numero esiguo dei posti disponibili: in tutto non più di una trentina. 
Le opere comoprese in detta Sezione restano di regola escluse dal prestito (cfr. Art. 7 del Reg. sul Prestito). 
Per essere queste semplici norme naturale corollario del Regolamento vigente del Prestito, che trova una ragionevole applicazione per analogia dove si tratti di concedere, come in questa Sala riservata, l'accesso diretto dello studioso agli scaffali; confido che nulla osterà da l Ministero alla loro applicazione; e prego di volere in tutti i casi dare un cenno di riscontro quanto è possibile sollecito, alla presente. 
IL BIBLIOTECARIO CAPO




La prima sede della BNCF, oggi 
l' esclusiva Biblioteca degli Uffizi

Dal documento qui sopra del 1907 si può capire che i bibliotecari italiani di oggi hanno ricostruito in modo incompleto e strumentale la storia delle biblioteche pubbliche in Italia e soprattutto hanno perso la consapevolezza e il senso delle procedure (di identificazione del lettore all'ingresso e di sorveglianza dopo la consegna del libro richiesto) da sempre messe in atto per garantire il servizio della lettura e allo stesso tempo la conservazione delle raccolte librarie.
Qui viene descritta la nascita della Sala consultazione nella BNCF. Affiancando a questo documento il Regolamento per le biblioteche pubbliche governative n. 733 del 1907 e il Regolamento per il prestito dei libri e manoscritti n. 523 del 1908 (art. 11) possiamo dedurre come fosse disciplinato l'uso pubblico della biblioteche pubbliche e confrontarlo con le soluzioni messe in atto oggi.
Alla sua nascita, i criteri che limitano ad alcun categorie di cittadini l'accesso alla Sala riservata di "consultazione" non corrispondevano immediatamente a una logica di censura verso i lettori meno qualificati, a un atto di divisione nella folla promiscua di studiosi professionisti e di lettori occasionali (vedi qui sotto i provvedimenti del Fascismo, la Relazione BNCF 1975 fino ai "nuovi" regolamenti del 2017 aggiornati alla recente liberalizzazione dell'uso di apparecchi fotografici in biblioteche e archivi). Fino ad allora tutti i lettori di libri a stampa condividevano la "Sala lettura comune" ed erano quindi sottoposti alle stesse misure di sorveglianza e soprattutto tutti i cittadini avevano uguale diritto di richiedere in lettura qualsiasi libro (esempi: Regolamento Biblioteca dell'Aquila, 1884 ... La lettura e libera per qualunque persona e per ogni sorta di opere esistenti nella biblioteca. Solo ai giovani saranno negati i libri sconvenienti alla loro età. Regolamento Biblioteca di Siena. 1871 ... E' permessa la lettura di ogni libro. Regolamento per la Biblioteca comunale di Verona. 1861 ... Qualsivoglia studioso, compiuto l'anno diciotto d'età, può durante l'orario stabilito, intervenire e stare nella Biblioteca per leggere e copiare dai libri di essa ... La sala di lettura è il luogo designato per tutti. Nessuno ha diritto di porsi in altra stanza della Biblioteca).
La sala Consultazione nasce principalmente come biblioteca a scaffale aperto e come tale richiedeva ulteriori misure di sicurezza in termini di sorveglianza e di identificazione del lettore: infatti prima di allora l'utente della biblioteca non aveva accesso diretto né al libro né al catalogo. In questo costituisce una innovazione e si differenzia (art. 121 RD 1907) sia dalla Sala comune di lettura, sia dalla stanza separata nella quale il lettore che desiderasse leggere dei manoscritti (anch'essi conservati per sicurezza nei magazzini) era tenuto a recarsi, sottoponendosi a speciale sorveglianza (la Sala manoscritti e rari di oggi, già esistente all'epoca). Alla nascita della Sala consultazione corrisponde quindi un miglioramento del servizio perché qui, oltre a tutti i libri conservati nel magazzino disponibili con la mediazione del bibliotecario e dopo attente registrazioni, il lettore ha liberamente a disposizione la raccolta di libri predisposta negli scaffali di questa Sala (cfr. art. 112, primo e ultimo comma, RD 1907).
Non mi nascondo comunque il dubbio, che meriterebbe ulteriori ricerche, che già allora dietro questa innovazione del servizio vi fosse una volontà di sottrarre al grande pubblico proprio i libri posti negli scaffali della nuova Sala, perché, come accennavo, la Sala lettura dell'epoca (la sola "aperta a tutti", come oggi) ancora non aveva le attuali enormi limitazioni in termini di raccolte in esse distribuite per la libera lettura. Come si vedrà in questa 'pagina', infatti, la crescente censura nelle biblioteche pubbliche italiane sarà realizzata da un lato separando i lettori in stanze di studio diverse e restringendo così progressivamente i segmenti o "tipi" di utenti ai quali il bibliotecario "concede" il privilegio di leggere tutte le raccolte della biblioteca; dall'altro vietando addirittura l'accesso a intere biblioteche (distinguendo le "speciali" dalle "generali") ai lettori "comuni" classificati dal bibliotecario "non studiosi". Oggi queste due modalità di censura si combinano. Una ulteriore modalità con cui si realizza la censura nelle biblioteche "speciali", i cui libri si vogliono "riservati" a poche "categorie" di lettori, sono gli orari di apertura delle Sale e dei servizi di distribuzione dei libri. Ancora oggi sono limitati alle ore diurne, durante le quali chi non sia uno "studioso" di professione, ossia la gran parte dei cittadini e del pubblico potenziale di un istituto culturale, non ha tempo libero per recarsi in biblioteca (cfr. qui sopra il primo documento del 1867). L'influenza degli orari risulta tanto più importante se si considerano le caratteristiche della fruizione dei beni librari e si confrontano con quelle dei beni culturali conservati nei musei. Una ricerca bibliografica e la lettura sono attività di fruizione che richiedono tempi lunghi sia in termini di ore durante lo stesso giorno sia in termini di giorni ripetuti nell'arco di più settimane se non mesi.
Come dimostra il documento qui sopra, nel 1907 le possibilità di garantire la sicurezza durante la fruizione (per prevenire furti e danneggiamenti dei Libri) erano limitate dalla "tecnica" di identificazione dei lettori: "i cittadini ... li si conosceva, per tanto, a vista" (Marco Meriggi, Gli Stati italiani prima dell'Unità, Il Mulino, 2002, pp. 68 - 71). Una identificazione certa era possibile solo per alti funzionari, professori universitari e persone note alla Direzione per il loro ruolo nella società. E l'art. 36 del Regolamento per il prestito dei libri nelle biblioteche pubbliche governative del 22/2/1886 ci spiega che "Se gli impiegati della biblioteca non conoscono colui che chiede libri a domicilio, hanno il diritto e il dovere di chiedere che egli sia loro presentato da persona da essi conosciuta" (oggi invece la "lettera di presentazione" richiamata nei regolamenti delle biblioteche è una scrittura privata ormai priva di valore, superata dalla diffusione della carta di identità dopo il 1935). Rileggendo il documento del Bibliotecario Capo del 1907 sembra anche plausibile una seconda ipotesi: che la "lettera di presentazione" per l'ammissione a una biblioteca pubblica sia potuta sopravvivere nella prassi fino ad oggi perché frutto di una distorta estensione alla ammissione in Biblioteca di un altro documento caduto in disuso: la lettera di malleveria redatta dal professore e necessaria allo studente (fino al DPR del 1995) per avere libri in prestito, ossia per portare un libro fuori dalla Biblioteca. Oggi una richiesta assurda perché la malleveria costituiva una garanzia patrimoniale in caso di mancata restituzione o  danni al libro (la Biblioteca poteva rivalersi anche sul professore "mallevadore"), mentre la lettera di presentazione di un professore nei regolamenti di oggi non offre alcuna garanzia e costituisce solo un ostacolo pesante che decima arbitrariamente il numero di cittadini che possono entrare nella Biblioteca pubblica per leggere i libri sotto la sorveglianza del bibliotecario (cfr artt. 13, 17, 35 RD 1908).
Nella nuova Sala consultazione del 1907, quindi, per l'esigenza oggettiva di identificare il lettore, la tessera verrà data normalmente a tutti gli studiosi ammessi al prestito senza malleveria (pochi mesi dopo elencati all'art. 11 e 12 del RD 1908) e alle sole persone ben conosciute alla Direzione, ossia semplicemente tutte le persone maggiorenni (art. 108 RD 1907) identificabili con certezza. A questo fine, il Bibliotecario Capo di questo documento applica correttamente per analogia le procedure del Regolamento vigente del Prestito (oggi superate).
Comunque è fondamentale osservare che nella Sala di lettura comune fino ad allora, All'infuori dei manoscritti e degli incunaboli tutto il patrimonio storico delle Biblioteche, dal sec. XVI in poi, rimane a disposizione del pubblico ... e senza neanche la sicurezza di sapere chi egli sia ...  [MORONI Conte ALESSANDRO, Bibliotecario della Alessandrina di Roma, qui <https://bibliothecae.unibo.it/article/view/5717/5437>], ma con la mediazione del bibliotecario.
Anche l'orario per la lettura era all'epoca limitato alle ore diurne (cfr. artt. 110, 114 e 121 del RD 1907) per motivi di sicurezza delle raccolte (non per ridurre l'affluenza in biblioteca di segmenti di pubblico non graditi - i "non studiosi" ... -  come accade oggi): motivi legati alla prevenzione degli incendi, in quanto l'illuminazione utilizzava sistemi "a fiamma libera" (alla stessa esigenza risponde il divieto di fumare e di riscaldamento delle sale "riservate").
E' durante il Fascismo e con la crescente diffusione della "biblioteca pubblica" (definizione nella quale la biblioteconomia include le sole "biblioteche popolari") che si diffonde la censura nelle biblioteche pubbliche italiane. La "biblioteca pubblica" (aperta al pubblico senza discriminazioni) è per i bibliotecari un concetto che contiene nella definizione la volontà di limitare l'accesso al nostro patrimonio librario: infatti la biblioteconomia la definisce in termini limitativi per il lettore, sia per il "tipo di istituti culturali che comprende (esclusivamente le biblioteche di enti locali, in gran parte istituite in Italia dopo la nascita delle Regioni), sia per il tipo di raccolte librarie che possono offrire (contemporanee e di "cultura generale" e per questo a scaffale aperto). Tutte le altre biblioteche invece sarebbero "speciali" e non sono definite "biblioteche pubbliche" e così - per definizione - si impedisce l'accesso della generalità dei lettori alle loro collezioni. Ma questa censura messa in atto dai bibliotecari oggi non ha più alcun fondamento "tecnico" come poteva avere nel 1907. Oggi è giustificata da tesi infondate quanto stravaganti, come quella che le biblioteche pubbliche statali italiane siano "evidentemente destinate a categorie specifiche di lettori e ... destinate a essere aperte al pubblico sulla base di modalità di accesso fissate dai propri regolamenti interni" [Paolo Traniello,1999, qui sotto]. E' attraverso queste distorsioni che, dal Fascismo in poi, nonostante l'enorme l'evoluzione della società e delle istituzioni, i bibliotecari italiani - anziché estendere la fruizione di tutto il patrimonio librario delle biblioteche pubbliche a qualsiasi cittadino maggiorenne che presenti la sua carta d'identità e limitarsi a sorvegliare i lettori - scelgono gli utenti "ammessi alla biblioteca" e allontanano i più in base ad arbitrari e inopportuni criteri e giudizi di "adeguatezza culturale" delle persone. E' dal Fascismo e fino ad oggi (nonostante l'evoluzione in direzione opposta della normativa sui beni culturali) che le raccolte storiche delle biblioteche non sono più accessibili al pubblico, a causa dei crescenti ostacoli arbitrari posti dai bibliotecari all'accesso alle Sale riservate (nelle quali occorre realizzare una "conservazione" del libro basata sulla sorveglianza durante una fruizione "attenta", non sulla censura e l'esclusione dei lettori potenziali). E la "Sala comune" aperta a tutti descritta dal Conte Moroni nel 1905 (il cuore della biblioteca) sarà trasformata dal Fascismo - con grande soddisfazione dei bibliotecari italiani di ieri e di oggi - nell'attuale "Sala di lettura", dove il bibliotecario arrogante e ignorante relega i cittadini che non riconosce come "studiosi veri" ossia culturalmente all'altezza delle collezioni così maldestramente "conservate".
Oggi quindi le possibilità dei cittadini "comuni" di scoprire e leggere il bene culturale Libro nelle biblioteche pubbliche italiane sono nulle o quasi, essendo le letture possibili limitate, a causa di arbitrari atti contra legem a cui è giunto il tempo di porre fine, ai soli libri contemporanei (ossia le pubblicazioni recenti, quelle degli ultimi anni), a romanzi e libri di frivolo argomento e di mero passatempoo al massimo a quelli pubblicati successivamente al 1900. E questo è vero solo per quella esigua minoranza di persone (tra quelle già escluse dalla conoscenza dei libri "nascosti" nelle sale riservate) che ha il tempo e la pazienza per sopportare gli estenuanti ostacoli procedurali di una organizzazione dove tutti i componenti appaiono progettati con la finalità di scoraggiare e tenere lontano il lettore dal libro: orari di apertura della Sala lettura (ancora oggi non estesi alle ore serali), disponibilità di spazi e posti di lettura spesso destinati a scopi diversi dall'incontro con le raccolte conservate (lettura di libri propri, conferenze, attività accessorie, ecc.), rumori, luci inadeguate (ad es., si confronti l'illuminazione della Sala lettura e della Sala consultazione della BNCF), limitazioni del numero di libri dal magazzino che un utente di Sala lettura può richiedere nello stesso giorno (ribadisco, numero già limitati a una minima percentuale dell'insieme delle collezioni della biblioteca: ossia solo quelli recenti) e orari in cui si può presentare la richiesta di distribuzione di quei libri ulteriormente limitati rispetto all'orario di apertura della Sala lettura ...





"Ci sentiamo gran signori perché abbiamo la Marciana o la Laurenziana … ma … noi che vogliamo farne il culto di tutti, siamo ridotti a questo: o a invitare il pubblico alla profanazione di quei templi, o a offrirgli insufficienti e indecorosi surrogati ...
C'è l'esempio offerto dalla biblioteca Vittorio Emanuele di Roma. Fino a qualche mese fa questa biblioteca, che è la più grande della capitale, era presa d'assalto ogni giorno da una folla promiscua di studiosi professionisti e di lettori occasionali. … È bastato mettere una divisione tra l'una e l'altra categoria di lettori, lasciando esclusivamente ai primi la Biblioteca Nazionale e formando in separati locali, con circa diecimila volumi di nuovo acquisto, con cataloghi e con personale proprio, la «biblioteca per tutti», per dare equilibrio a due istituti che prima si minavano a vicenda. Ci sono voluti, per capirlo, cinquantaquattr'anni, ma finalmente s'è capito: o, meglio, si era capito da un pezzo, ma finalmente s'è potuto attuare, in grazia d'un principio d'interessamento che soltanto nel presente Regime le biblioteche hanno avuto"

(Luigi De Gregori. 1931)





"Non possiamo esimerci dal domandarci: ove si eccettuino le biblioteche specializzate, il cui compito è già determinato (ma più nettamente dovrebbe esserlo) e, in parte, le universitarie per lo stesso motivo, in che modo è da definire la funzione pubblica di tutte le altre biblioteche di cui ci stiamo occupando? …
Se le biblioteche sono aperte a tutti, che cosa chiederebbe ad esse quella stragrande maggioranza di cittadini che non sono studiosi di professione, né studenti universitari, né impiegati o artigiani preoccupati di risolvere un qualche problema tecnico di lavoro; che cosa chiederebbe ad esse se non appunto romanzi e (come il regolamento li chiama) libri di frivolo argomento e di mero passatempo?"

(IX Congresso Nazionale dell’ AIB, Associazione Italiana per le Biblioteche, 1954)




BNCF Relazione 1975. Sale di Consultazione,  p, 108
Archivio, A1, busta 511

Il 1975 è stato un anno particolarmente difficile per il settore Sale di Consultazione, dato che la carenza di personale, comune a tutti gli altri settori della Biblioteca, si avverte qui in maggior misura per le seguenti cause: 1) aumento del pubblico: infatti la lettura di tutto il materiale che riveste un minimo di rarità e di pregio è stata trasferita nelle sale di consultazione per sottrarla all'assalto dei lettori meno qualificati e male identificati; (...) 
Il personale (...) si è ampiamente prodigato, assoggettandosi, fra l'altro, ad un numero di turni pomeridiani superiori a quanto prescritto [quindi turni retribuiti in straordinario per orari di apertura della Biblioteca più che normali!] per tutti gli impiegati (1 turno) e comportandosi con signorile disinvoltura con il pubblico anche nelle numerose circostanze difficili.  





A Firenze, il 12 marzo scorso, sono stato invitato dalla commissione cultura della Federazione comunista fiorentina a partecipare a un seminario su "La Biblioteca nazionale centrale di Firenze: un progetto per vivere". (...)
 C’è una letteratura talmente vasta su cos'è un archivio nazionale del libro, che viene voglia di dire semplicemente alla burocrazia del Ministero per i beni culturali e ambientali (che non è una burocrazia né particolarmente sagace né particolarmente preparata): mettetela in opera. …
La crisi della Biblioteca nazionale centrale.. vede una specificità che non conosce bisogno di ulteriori analisi, ma semplicemente applicazione - ripeto – di suggerimenti formulati da tempo. .. Quali sono? ..  attenta selezione dei lettori, per non entrare in contraddizione con la nozione di archivio documentario

(Piero Innocenti, «Biblioteche oggi», 6., 1988,
n° 3, maggio-giugno: p. 81 e p. 83)





"Le biblioteche pubbliche statali - (...) Le funzioni delle diverse categorie di biblioteche pubbliche statali venivano definite nei precedenti Regolamenti organici, fino a quello del 1967, in ordine al quadro tipologico in essi delineato. Questo quadro è tuttavia venuto a cadere, come si è detto, nel Regolamento in vigore [del 1995] (...)
La nozione di “biblioteca pubblica statale” che si può evincere dalla normativa italiana in vigore è notevolmente vaga e confusa, soprattutto ove si voglia fare riferimento alla tematica relativa alla biblioteca pubblica contemporanea. (...)
La biblioteca statale è quindi, da questo punto di vista, semplicemente una biblioteca dello Stato aperta al pubblico. In realtà già a questo primo livello di definizione, le cose non appaiono in realtà così chiare. Se infatti leggiamo l’articolo 31 del Regolamento in vigore (Condizioni di ammissione), ci appare immediatamente chiaro che la possibilità di accesso dipende dal rilascio di una carta d’entrata, permesso o tessera annuale di frequenza, vale a dire di una autorizzazione che, per quanto possa venire concessa con larghezza, costituisce un requisito ulteriore rispetto alla pura e semplice condizione di cittadino (che deve invece bastare per l’accesso alle biblioteche pubbliche) (...)
A un livello di considerazioni più sostanziali, si deve anche osservare che le biblioteche pubbliche statali italiane non svolgono per lo più quella funzione che è considerata oggi come propria della biblioteca pubblica [contemporanea appartenente a un'amministrazione locale]: vale a dire un servizio volto a offrire ad un pubblico di carattere generale strumenti di comunicazione e informazione di tipo non previamente predeterminato. La maggior parte delle biblioteche che si collocano all'interno di questo insieme sono invece evidentemente destinate a categorie specifiche di lettori e quindi si pongono con i caratteri più delle biblioteche specializzate o delle biblioteche storiche che delle biblioteche pubbliche (...)
La nozione che stiamo cercando di individuare può insomma essere stabilita più che altro con criteri di carattere giuridico-formale, non già di ordine specificamente funzionale, valutabili in termini biblioteconomici. Ciò significa che, dato un insieme di strutture bibliotecarie presente in Italia, appartengono a questa categoria quelle che, pur svolgendo servizi bibliotecari di natura anche assai diversa tra loro, fanno tutte capo, come suoi organi, al ministero per i Beni Culturali, sono elencate come tali nell'apposito Regolamento e sono destinate a essere aperte al pubblico sulla base di modalità di accesso fissate dai propri regolamenti interni"

(Paolo Traniello, Legislazione delle biblioteche in Italia, Roma, Carocci , 1999, p. 30 - 37)




Antonio Magliabechi ... intende e vuole, che di tutti i suoi libri ... se ne formi una pubblica libreria a beneficio universale della città, e specialmente per li poveri, chierici, sacerdoti e secolari, che non hanno il modo di comprar libri e potere studiare

La Biblioteca - Informazioni generali - Regolamento interno

BIBLIOTECA   NAZIONALE   CENTRALE   DI  FIRENZE

(...) in ottemperanza all'art. 26 del DPR n. 417/1995 - Regolamento delle Biblioteche pubbliche statali, è stato elaborato un Nuovo Regolamento interno in vigore dal 1° ottobre 2017

REGOLAMENTO  INTERNO

Art. 2 - Ammissione

1. La Biblioteca, in considerazione dei prioritari compiti di conservazione dei suoi fondi e della complessità degli strumenti catalografici di cui è dotata, è destinata a quanti svolgono attività di studio e di ricerca e a coloro che non possono reperire in altre biblioteche le pubblicazioni necessarie per i propri studi. Al momento dell’iscrizione lo staff della Biblioteca suggerirà un possibile utilizzo alternativo di altre biblioteche che potrebbero rivelarsi più adeguate al tipo di ricerca da effettuare.

Art. 3 - Servizi

1. Sono liberi l'accesso alla Sala cataloghi, all'Ufficio informazioni e relazioni con il pubblico, alla Sala di lettura generale e alla Sala periodici. Il materiale in esse conservato è liberamente consultabile.
2. Le Sale di consultazione, la Sala manoscritti e la Sala musica sono destinate a utenti con particolari esigenze di studio e ricerca. L'accesso a queste sale è autorizzato dalla Direzione della Biblioteca su richiesta dell'utente corredata da congrua documentazione. L’accesso alle sale è libero per la consultazione del materiale a scaffale aperto.





La Biblioteca Riccardiana, biblioteca pubblica statale afferente al Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo, è specializzata nella conservazione, valorizzazione e tutela dei propri fondi manoscritti e rari a stampa. (...)

2. Modalità di ammissione

Lo studioso che intende consultare le fonti manoscritte e a stampa della Biblioteca deve presentare un documento di identità riconosciuto (...) e compilare un modulo con i propri dati personali, da consegnare al bibliotecario in Sala di studio. Nel modulo lo studioso dovrà specificare l’argomento della ricerca, lo scopo della medesima e fornire adeguate e precise informazioni scritte sull'istituto, l’ente, l’organismo di ricerca a cui fa riferimento, documentandone l’appartenenza con attestati (tessere, lettere, altro). Gli studenti universitari e i dottorandi dovranno inoltre esibire una lettera di presentazione, rilasciata su carta intestata dell'Istituto dal Direttore della ricerca, che, oltre a fornire un profilo degli studi condotti dalla persona presentata, indichi il periodo di tempo necessario al completamento della ricerca stessa. (...)

4. Orario

lunedì e giovedì 8,15-17,15 martedì, mercoledì e venerdì 8,15-13,45sabato chiuso

<http://www.riccardiana.firenze.sbn.it/index.php/it/informazioni/accesso-e-servizi#ammissione>





Biblioteca Medicea Laurenziana

Sono ammessi alla Biblioteca gli studiosi che dimostrino di condurre ricerche scientifiche sulle fonti manoscritte e a stampa, in riproduzione o in originale. La consultazione diretta degli originali è consentita per motivate esigenze. Le opere a stampa moderne sono date in lettura in sede agli studiosi già ammessi alla consultazione dei manoscritti e delle edizioni rare.
(...) Non è previsto il prestito diretto [cfr. artt. 51 e 54 del DPR 417/1995




Biblioteca dei Marucelli per l'uso pubblico, soprattutto dei poveri

A: "dinosimone@virgilio.it"  
Data: 30 aprile 2019 alle 17.36 
Oggetto: Re: Nuovo regolamento 

Gentile Berardino Simone, il nostro Regolamento interno è in corso di revisione, sarà nostra cura pubblicarlo sul sito non appena sarà pronto. Naturalmente come tutte le biblioteche statali anche noi ci siamo adeguati alla nuova normativa in materia di riproduzione con mezzi propri, con le modalità che sono state comunicate con apposito avviso sul sito e che può trovare anche nella pagina dei Servizi alla voce Riproduzioni, questo il link diretto:

Per quanto riguarda le modalità di accesso degli utenti al patrimonio librario si può per il momento far riferimento al vecchio regolamento (...)
[ Art. 8, regolamento del 23/1/1997:
 http://www.maru.firenze.sbn.it/informazioni_regoint.htm ]

Rimaniamo a disposizione per ogni ulteriore chiarimento

Cordialmente
(...) 
Biblioteca Marucelliana 
Via Cavour 43/45 - 50129 Firenze









2. - LA BIBLIOTECA PUBBLICA SENZA QUESTI BIBLIOTECARI E SECONDO IL CODICE DEI BENI CULTURALI 





Decreto-legge 14 dicembre 1974, n. 657. Istituzione del Ministero per i beni culturali e per l’ambiente ... Art. 1. È istituito il Ministero per i beni culturali e per l’ambiente ... Art. 2. Il Ministero ... Promuove la diffusione dell’arte e della cultura
DPR 3 dicembre 1975, n. 805. Organizzazione del Ministero per i beni culturali e ambientali ... Art. 1 Il Ministero per i beni culturali e ambientali provvede alla tutela e alla valorizzazione dei beni culturali e ambientali, archeologici, storici, artistici, archivistici e librari secondo la legislazione vigente ... Art 30 ... Sono altresì organi del Ministero le biblioteche pubbliche statali :
... D.M. 147 12/03/2018
DECRETO DI ADOZIONE DEL PIANO DELLA PERFORMANCE 2018-2020
... Allegato parte integrante (P. 17 - 18): Finalità della spesa. Il Ministero ha competenza esclusiva sulla Missione 21 - "Tutela e valorizzazione dei beni e attività culturali" ... Alla Missione 21 affluiscono affluiscono la maggior parte delle risorse così ripartite: ... Programma 10 "Tutela e valorizzazione dei beni librari, promozione e sostegno del libro e dell' Editoria",  € 143.622. 621 ... (p. 47): ... DIREZIONE GENERALE BIBLIOTECHE. OBIETTIVI ANNUALI 2018 (...) Assicurare la salvaguardia e la conservazione al fine di migliorare la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale INDICATORE Utenti delle biblioteche nell'anno TARGET >= 900.000 





La crescente, talvolta quasi risentita, sottolineatura della conservazione come compito primario delle biblioteche storiche ha indotto alla coniatura di una nuova (non mi risulta essere mai circolata nel linguaggio  bibliotecario sino a un decennio fa) distinzione, quella fra « utenti propri » ed « impropri »: e questo neologismo non è rimasto racchiuso nel garbato, e quasi bizantino, limbo della precisazione terminologica, ma si è caricato di concretissimi effetti e di radicali discriminazioni (…) Ma una volta ammessa la liceità di erigere questo steccato, o addirittura questa barricata, nella folla (in realtà sempre benefica e mai troppo numerosa) dei lettori, con quale criterio si stabilirà chi accogliere e chi escludere?

(Marino Berengo, in Giornate Lincee sulle Biblioteche Pubbliche Statali. Roma, 21-22 gennaio 1993. Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1994, p. 22)


Una mentalità curiosa, quella del conservatore che deve difendere l'oggetto, il libro, fino al punto di precluderne l'uso. Un illustrissimo collega, dotto uomo, che si chiama Armando Petrucci, forse il nostro migliore paleografo, anni fa chiedeva nella Biblioteca Nazionale di Roma, un volume presente nella riserva. Egli era forse uno dei due o tre cittadini al mondo in grado veramente di adoperarlo e fruirne. La richiesta di averlo in lettura gli fu negata, al che Petrucci rispose: «allora bruciamolo!». Effettivamente l'unica soluzione dinanzi a tanti divieti è bruciare, cosa che naturalmente non avviene. L'idea ottusa di conservazione sta portando a questo genere di assurdità.

(Luciano Canfora, Per una storia delle biblioteche (p. 13-36), in Scuola Superiore di Studi Storici. Lo spazio del libro. AIEP. Repubblica di San Marino, 2013)


Anche l'offerta, dunque come la domanda, è diversificata, e lo è per ragioni storiche; ma (...) soprattutto senza che le biblioteche abbiano mai saputo o potuto mettere a punto (...) nei decenni passati una politica nazionale della ricerca, dello studio e della lettura incentrata sulle biblioteche di stato; ciò finora non è avvenuto per quella « volontà di ignoranza » che Franco Venturi ha recentemente identificato nella conduzione pubblica delle biblioteche italiane e che è difficile contestare; (...)
Oggi lì [alla Nazionale Centrale di Firenze] e altrove non solo gli orari d'apertura sono ridotti, ma sono drasticamente ridotti rispetto al passato anche gli orari di distribuzione del materiale librario. (...) All'uso libero della biblioteca (soprattutto) delle maggiori ostano inoltre anche regolamenti interni che individuano nel lettore un pericoloso sovversivo da contenere e da controllare: vengono richiesti illegali (stante il regolamento in vigore [DPR 417/95]) permessi di accesso; viene impedito di spostarsi da una sala all'altra, con le immaginabili difficoltà per il ricercatore; viene limitato numericamente l'accesso al pubblico a determinate sale o alla biblioteca nel suo complesso; viene limitato al minimo di due o tre il numero delle opere che è possibile richiedere; e così via (...)
Io penso possa essere utile avanzare in questa autorevole sede una serie di concrete proposte di gestione e di funzionamento delle biblioteche statali non costose in termini finanziarii, semplici da realizzare e utili a migliorare in modo significativo i servizi al pubblico. Queste proposte riguardano quattro aree di diritti che vanno al più presto restaurati e rispettati nelle biblioteche pubbliche statali: il diritto all'informazione, il diritto all'accesso, il diritto al libro, il diritto di uso e di vivibilità. (...)
Ove si consideri, poi, che più del novanta per cento degli italiani non mette mai piede in una biblioteca e che comunque, anche contando gli studenti con i libri propri, il numero dei frequentatori le biblioteche di Stato è complessivamente assai ridotto, ci si rende conto di quanto, nel quadro generale dello stato dell' acculturazione sociale e della ricerca scientifica in Italia, risulti distorto il concetto corrente di funzione pubblica delle biblioteche di Stato

(Armando Petrucci, in Giornate Lincee sulle Biblioteche Pubbliche Statali. Roma, 21-22 gennaio 1993. Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1994, p. 30, 31 e 35)





Autore: SIMONE, Berardino
Titolo: La certificazione nelle Pubbliche Amministrazioni. Quale rapporto fra norme ISO e norme giuridiche?
Periodico: De Qualitate: rivista italiana della qualità. - Roma : Nuovo Studio Tecna,
Mensile
Anno: 2002 - Fascicolo: 9 - Pagina iniziale: 25 - Pagina finale: 27

PARTE I – La Legge – 1. Il Regolamento delle biblioteche pubbliche statali.
Secondo la disciplina del DPR n. 1501 del 1967 le biblioteche statali erano parte del Ministero della Pubblica Istruzione. La loro funzione di fondo era quindi di essere di supporto alle ‘scuole statali per tutti gli ordini e gradi’ ed alle ‘istituzioni di alta cultura, università ed accademie’ (art. 33 della Costituzione). La biblioteca pubblica statale era infatti uno strumento ‘per giovare agli studi’ (art. 121 del DPR del 1967), e il materiale librario che ancora oggi caratterizza le diverse sale di studio (sala Lettura, Consultazione e Manoscritti) rifletteva i diversi livelli di istruzione dei cittadini, in un epoca in cui per molti la scuola dell’obbligo era stata quella elementare e le biblioteche statali escludevano dal prestito ‘le opere di letteratura amena … reperibili in biblioteche di tipo popolare’ (art. 108). 
Era compito del Direttore della biblioteca disciplinare gli accessi ad una sala piuttosto che un’altra, sulla base della coerenza del materiale librario in esse distribuito con gli studi che i potenziali ‘utenti’ stavano svolgendo. Infatti gli «utenti» sono espressamente indicati dal DPR 1501 con i termini: ‘ragazzi delle scuole, … discenti delle università, … docenti universitari, … e studiosi’. Non tutti i cittadini potevano quindi accedervi, ma solo i docenti e gli studenti che frequentavano gli Istituti Scolastici diretti dallo stesso Ministero di quelle Biblioteche. 
Sono passati sette anni da quando il n. 417 del luglio 1995 ‘Regolamento recante norme sulle biblioteche pubbliche statali’ – ha abrogato il DPR n. 1501 del 1967 (vedi supplemento ordinario n. 188 alla G.U. n. 233 del 5/10/95.). 
L’art. 1 del DPR 417/95 (ma già la Legge del 1975) pone le biblioteche pubbliche statali all’interno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Quindi oggi sono finalizzate a ‘promuovere lo sviluppo della cultura’ ed ‘il pieno sviluppo della persona umana’ (artt. 9 e 3 della Costituzione).
Le conseguenze pratiche sarebbero rivoluzionarie
Come in un museo dello Stato i cittadini dovrebbero accedere liberamente al patrimonio artistico delle biblioteche storiche pubbliche e, in base ai propri personali e privati interessi culturali, dovrebbero essere liberi di spostarsi da una sala di studio all’altra a seconda del tipo di materiale bibliografico a cui sono interessati. L’unico aspetto per cui l’analogia con i musei statali non è applicabile è nel fatto che l’utente di una biblioteca storica non può restare anonimo ma deve essere identificato (art. 36), perché per leggere acquista temporaneamente il possesso del bene artistico. La biblioteca statale oggi è un Servizio Pubblico aperto a tutti i cittadini come lo è un Museo dello Stato e non può più essere riservato a determinate categorie di cittadini né all’ingresso né in alcune sue sale: sarebbe come se agli Uffizi le opere più antiche o rare fossero visibili solo a ‘docenti’ e ‘studiosi’, o il Direttore del museo autorizzasse l’ingresso in certe sale solo ai ‘docenti’ ed ai loro ‘discenti’. 
A conferma di questa interpretazione nel DPR del 1995 non si trovano più le categorie di cittadini/studenti indicate nel DPR del 1967 ma semplicemente il termine ‘utenti’ (artt. 31 – 40), mentre gran parte dei suoi articoli si occupano di disciplinare nel dettaglio le registrazioni delle informazioni necessarie per assicurare che i libri non si possano smarrire o sottrarre durante la movimentazione interna e la consegna al pubblico. In particolare in Sala Manoscritti tali registrazioni sono particolarmente dettagliate: quasi ogni spostamento dell’opera deve essere documentato su appositi moduli, ed il Direttore può autorizzare la consegna di un manoscritto solo all’ ‘utente’ maggiorenne (art. 37), che giuridicamente ha la capacità di agire e quindi eventualmente risponde dei danneggiamenti causati. Allo stesso tempo però il DPR del 1995 (e la normativa introdotta dal 1990 ad oggi per modernizzazione e migliorare la qualità delle Pubbliche Amministrazioni) richiede al Direttore della biblioteca il massimo sforzo per agevolare e semplificare i servizi al pubblico, per cui il ”Conservatore’ che volesse operare nella legalità dovrebbe prendere atto che non ha l’autorità di impedire all’utente la fruizione del bene librario ma solo di disciplinarla nel modo più opportuno
Ciò che distingue le sale ‘riservate’ – qui è la fondamentale innovazione – prescinde dalle qualità soggettive dei cittadini/utenti: sono sale specializzate nel senso che richiedono attrezzature e servizi adeguati ad una corretta custodia e consultazione. Purtroppo, come ben sanno gli utenti delle biblioteche ‘pubbliche’ statali, la realtà è ben diversa
Ancora oggi i cittadini che si avvicinano alle biblioteche pubbliche muniti del loro documento di identità possono accedere solo alla Sala Lettura, dove tradizionalmente vengono distribuite esclusivamente le opere moderne (escluse quelle collocate negli scaffali delle sale riservate), addirittura con modalità più restrittive e in numero ridotto rispetto a quanto previsto per le opere antiche e moderne distribuite nelle sale riservate.

PARTE II – La prassi contra legem – 2. Un caso emblematico della diffusa prassi bibliotecaria.
La Direzione Generale Beni Librari con un ritardo di quattro anni – e solo grazie a reiterati reclami degli utenti – ha preso atto che una Amministrazione Pubblica deve applicare la Legge e nel dicembre 2000 ha approvato il Regolamento interno che la Direzione della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, ha [avrebbe] dovuto predisporre ‘in conformità’ con i nuovi principi generali (come prescritto dall’art. 26 del DPR del 1995) . 
Alla fine del 2001 la BNCF ha anche ottenuto la Certificazione di Qualità del Sistema di Gestione, secondo lo norma ISO EN UNI 9002: 1994, da un Organismo di Certificazione accreditato da (e finanziatore del suo controllore) il Sincert. 
Le ISO sono solo norme tecniche, ma presupporrebbero il rispetto delle norme giuridiche del settore di appartenenza dell’Organizzazione certificata, definita ‘fornitore’ (‘4.9 Il fornitore deve individuare e pianificare i processi di produzione … che hanno diretta influenza sulla qualità ..e.. assicurare che siano attuati in condizioni controllate. Tali condizioni devono prevedere … la conformità con norme/codici di riferimento’). 
Così non è stato, si è violata sia la ISO che la Legge con un Regolamento rappresentativo di un concetto distorto di ‘conservazione’ approvato dalla Amministrazione Centrale e – questa è la mia impressione – comodo per i bibliotecari delle Biblioteche storiche, se non altro perché permette di eludere le complesse problematiche della custodia e della conservazione del libro e di ridurre il carico di lavoro derivante non dalla tradizionale e tranquilla attività di catalogazione e restauro (vedi ancora l’esperienza BNCF: un’Area Digitale più che miliardaria – in lire – ‘inaugurata’ nel 1999 e l’alluvionato del 1966 entrambi ancora incompiute) ma dal crescente servizio al pubblico richiesto da utenti esigenti e sempre più ‘anonimi’, non più rappresentati dalla rassicurante cerchia di ‘facce conosciute’. 
Nel nuovissimo [dicembre 2000] Regolamento interno della BNCF, all’art. 3 (Accesso) si legge che ‘la biblioteca, è destinata a quanti svolgono attività di ‘ricerca’. In particolare possono accedere nelle Sale Consultazione, Musica e Manoscritti i ‘professori o studenti in possesso di una lettera di presentazione del professore’ (artt. 4 e 6). 
Si fa un formale riferimento alla possibilità di avvalersi delle norme su l’autocertificazione, ma non si esplicita cosa è necessario dichiarare (ad esempio la qualità di studente). 
L’utente incontra enormi difficoltà per fornire una non trasparente ‘congrua documentazione’ relativa a ‘motivate esigenze di studio o di ricerca’ (art. 4 Regolamento interno). Questo perché i compiti di garantire la custodia e controllare il materiale librario sono stati tradotti in un controllo su quali cittadini autorizzare a consultare un libro.
Ad un controllo che il Diritto Pubblico definirebbe ‘oggettivo’ ed ‘imparziale’ si è preferito un controllo ‘soggettivo’ e illegittimo in quanto ‘discriminatorio’.
Al controllo rivolto alla movimentazione dei ‘prodotti’ che la Scienza dell’Amministrazione classificherebbe come ‘tecnico- gestionale’, si è preferito un ‘controllo sociale’ basato non solo sull’appartenenza o meno del cittadino alla ristretta comunità universitaria ma addirittura sulla sua ‘cooptazione’ nella famiglia degli ‘studiosi’.
La carta di identità, la maggiore età dell’utente oppure il certificato d’iscrizione ad una scuola o università hanno un valore secondario per accedere in questa biblioteca. Il documento principale che occorre procurarsi ed esibire è la lettera di presentazione del professore’, che in questo contesto probabilmente ha il valore di un atto di diritto privato, e quindi è una raccomandazione istituzionalizzata. 
Leggendo il regolamento si nota che neanche il possesso di particolari conoscenze scientifiche, nel nostro ordinamento giuridico attestato dai titoli di studio legalmente riconosciuti, è il criterio rilevante per avere diritto ad accedere a questo servizio pubblico. La logica di questa esclusione deriva da una prassi distorta, che trova forse origine nel DPR del 1967 abrogato nel 1995. Il titolo di studi indica che il cittadino/studente è uscito dal mondo dell’Università e della Scuola, quindi è come se improvvisamente avesse perso il diritto, le capacità e l’interesse culturale per accedere a gran parte dei beni librari di una biblioteca ‘pubblica’ ‘di conservazione’ che rifiuta di definirsi Biblioteca di Servizio.
L’amara conclusione è quindi che la riforma delle biblioteche statali del 1995 stenta ad essere applicata. L’attaccamento alla ‘tradizione’ impedisce a queste Organizzazioni Culturali di perseguire il loro fine istituzionale, ossia ‘lo sviluppo della cultura’ ed ‘il pieno sviluppo della persona umana’, determinando invece il rischio concreto di una lesione dei diritti fondamentali delle persone. (...)





(...) Oggi potrei aggiungere che quella norma si è rivelata inadeguata a riformare il settore (anche) perché il Legislatore non ha considerato o ha sottovalutato le "resistenze culturali" del contesto su cui voleva incidere, lasciando troppa autonomia a una Amministrazione incapace di interiorizzare la sfida e innovarsi spontaneamente. (...) Le principali leve della regolamentazione del servizio dovrebbero essere disciplinate a prescindere dalla volontà della Amministrazione dei beni librari. Mi riferisco a un orario di apertura al pubblico (e della distribuzione) uniforme su tutto il territorio nazionale (con l'accorpamento di raccolte e personale non in grado di garantirlo), dove non si confonda l'orario di apertura (funzione delle "esigenze dell'utenza", secondo il buon senso e il D.Lgs. 165/2001, art. 2) con l'orario di lavoro (funzione dell'orario di apertura, non viceversa). A una tessera d'ingresso unica per tutti gli istituti (biblioteche e archivi), a un regolamento-tipo per tutte le biblioteche che il direttore- bibliotecario (o il direttore-restauratore ... ) possa integrare solo per i dettagli. Aggiungerei elaborazioni centralizzate (grazie alle tessere uniche) delle informazioni sul numero dei lettori e dei Libri richiesti (al netto degli ingressi per il prestito), a cui collegare il salario variabile degli operatori. E il divieto esplicito di qualsiasi attività diversa dai servizi per la fruizione delle raccolte custodite dalle biblioteche. A cominciare dalla cosiddetta "pubblica lettura" ovvero la lettura di libri propri (analogamente a quanto accade nei musei, dove nessun utente occupa le sale attrezzate per esporre al meglio un proprio quadro o la propria statuetta). Ancora, drastica riduzione delle mostre: solo in occasione di importanti acquisizioni, oppure per far conoscere cosa si fa per il recupero del Libro e per pubblicizzare il ritorno al pubblico del materiale restaurato (queste sarebbero probabilmente le occasioni ideali a cui collegare inviti al mecenatismo in favore della biblioteca (...)

[Estratto dal mio, La sfida culturale dei beni culturali : dall'idea ottusa di conservazione alla complessità del restauro del nostro patrimonio librario ovvero, Abbattere la fortezza : dalla biblioteca "di conservazione" alla biblioteca di fruizione (e dalla "biblioteca pubblica" alla biblioteca di lettura. Settembre 2015. Scritto per e pubblicato sul sito AICRAB, non più presente in rete:
<https://www.aicrab.org/fileallegati/berardino-simone.pdf>]





Codice dei Beni Culturali (2004)
Articolo 101 Istituti e luoghi della cultura.
Si intende per (...) “biblioteca”, una struttura permanente che raccoglie, cataloga e conserva un insieme organizzato di libri, materiali e informazioni, comunque editi o pubblicati su qualunque supporto, e ne assicura la consultazione al fine di promuovere la lettura e lo studio.

Decreto Legislativo 22 gennaio, 42 (G.U. n. 45 del 24 febbraio 2004 – Supplemento Ordinario n. 28)





"Una Biblioteca, che si caratterizzi come pubblica, è tenuta a soddisfare due obblighi: il primo è quello di mettere a disposizione dell'utenza, con le modalità più larghe e liberali, le raccolte librarie di cui si trova dotata; il secondo è quello di tutelare quello stesso materiale librario in maniera che non soffra danneggiamenti, né per l'uso né per l'azione di fattori comunque nocivi, quali umidità, temperatura, inquinamento chimico, insetti, ecc. ...
Una delle soluzioni - la più comune anche perché la più agevole - è quella di dividere la Biblioteca in due settori spesso rigidamente distinti: ... le notizie sulle edizioni incunabulistiche normalmente neppure compaiono nel catalogo generale per autori. ...
A nostro parere, mentre ciascuno dei due obblighi è imperativo ... il principio della fruizione deve venire considerato sempre non solo primario ma dominante. ...
Angelo Rocca nell'aprire la prima libraria pubblica europea in Roma nel 1595 aveva fatto incidere sul portone "Volentibus", e nessun altro motto può sostituirlo e fissare altre restrizioni. Altrimenti si chiudano le biblioteche pubbliche!"

(Alfredo Serrai. Il Bibliotecario - III serie, 2008, n. 3, pag. 153)





Regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali (2014)
Art. 38 Biblioteche
1. Le Biblioteche pubbliche statali, uffici periferici della Direzione generale Biblioteche e Istituti culturali, svolgono funzioni di conservazione e valorizzazione del patrimonio bibliografico, assicurandone la pubblica fruizione

DPCM 29 agosto 2014, n. 171 (GU Serie Generale n.274 del 25-11-2014)





Un selfie pagato a caro prezzo

Beni culturali. Vietato fotografare libri e manoscritti antichi. Lo stabilisce un emendamento alla legge 106. Un’intervista con Carlo Federici, uno dei massimi esperti in conservazione di materiali documentari
(...)
Lei ha aderito alla petizione «Fotografie libere per i beni culturali» denunciando l’assurdità dell’esclusione dei beni bibliografici e archivistici dalla liberalizzazione. C’è una relazione tra riproduzione fotografica e pericolo di eccessivo contatto – quindi di usura – con libri antichi e documenti oppure è una questione malposta? 

Chiariamo che la riproduzione non determina alcun contatto con l’oggetto da riprodurre poiché l’apparecchio deve necessariamente essere posto a una certa distanza dall'oggetto. Se mai è la consultazione che potrebbe sollecitare materialmente il documento. Ma, ribadito che libri e documenti vengono conservati per essere studiati, credo che sia il caso di sfatare la superstizione che il degrado di questi beni culturali sia accelerato dalla fruizione. Parlo ovviamente della fruizione prudente e avvertita: un libro antico non può essere consultato come si farebbe con un quotidiano che è prodotto per durare un giorno. Ciò premesso, stabilito che è nostro dovere trasmettere ai posteri il patrimonio culturale che abbiamo ricevuto in eredità dai nostri padri, vorrei far notare che anche noi siamo tra i posteri cui spetta il godimento di quelle testimonianze del passato.

(il manifesto, Un selfie pagato a caro prezzo. Alessandra Pigliaru, edizione del 17.06.2015)





Autore: SIMONE, Berardino
Paper: Una democrazia per pochi. I limiti di accesso alle biblioteche statali
Periodico: Forum di Quaderni costituzionali, sezione telematica di Quaderni Costituzionali (Direttore Carlo Fusaro). 
Anno: 2016

(...) Stupisce che di questa evoluzione della normativa superiore non vi sia traccia nei regolamenti interni di oggi. (...)
Questo perché i responsabili delle biblioteche statali interpretano i loro compiti, più che secondo il principio gerarchico delle fonti, sotto la particolarissima luce delle teorie biblioteconomiche. Per comprendere la peculiare situazione dell'amministrazione delle biblioteche statali è quindi indispensabile addentrarsi in alcune convinzioni della biblioteconomia. (...) (...)

(...) La "sfida" dei beni culturali. 
Dalle biblioteche di "conservazione" alla "Biblioteca Pubblica"

Per cercare di capire (e superare) le prassi e le resistenze culturali che impediscono il libero accesso alle biblioteche antiche italiane e al loro (anzi nostro) sconosciuto patrimonio librario, ho sfogliato per anni la poco entusiasmante letteratura biblioteconomica (...)






Autore: SIMONE, Berardino
Titolo: LEGGERE nella BIBLIOTECA delle OBLATE
Sulla 'pagina' LA BIBLIOTECA e la sua negazione di questo blog, "La fruizione negata del Libro":
<http://libroinbiblioteca.blogspot.com/2016/08/la-biblioteca-e-la-sua-negazione.html>
Anno: 2016

(...) Secondo piano. Il secondo piano offre una luminosa sala con tavoli, sedie e moquette (ereditata dalla ludoteca che inizialmente era il questa sala), dove si concentrano prevalentemente gli studenti per ritrovarsi e approfittare delle comodità per leggere i propri libri o appunti per gli esami. (...)

Primo Piano. Al primo piano vi sono la maggior parte dei servizi. In tre ampie sale si possono trovare i libri contemporanei a scaffale aperto, insieme a cd e dvd e il personale per le relative informazioni e il prestito, nonché i computer per navigare su internet.
Paradossalmente però per la lettura, nelle tre sale comunicanti ci sono in tutto solo un paio di tavoli da sei posti e qualche tavolino di quelli che può ospitare solo una persona. Si ha quindi l'impressione di essere invitati non tanto a fermarsi a sfogliare e leggere quei libri, ma a sceglierne qualcuno dallo scaffale per prenderlo in prestito e leggerselo a casa propria. (...)

Piano Terra - Sala consultazione o “sala Balducci”. Questa è la zona dove proprio non sono arrivati i benefici degli ingenti lavori (quelli inaugurati nel 2007 e nel 2013) per la “modernizzazione” della Biblioteca Comunale Centrale di Firenze [e mi pare indicativo che in rete non si trovino immagini della sala consultazione]. Come tanti anni fa, è solo in “sala consultazione” che è possibile scoprire e leggere le raccolte storiche, significativo punto di riferimento per lo studio della realtà civica di Firenze tra '700 e '900 (cito dall'art. 2 dell'ultimo regolamento della biblioteca, del 2001). [Nonostante le recenti ristrutturazioni non si è fatto tesoro della triste esperienza della alluvione di Firenze la quale suggerisce di conservare i libri più rari nei piani alti, non accessibili all'acqua dell'Arno.] (...)
Ma l'aspetto più disfunzionale sono gli orari. Se chi vuole utilizzare la Biblioteca delle Oblate per leggere il libro che si porta da casa, oppure per un caffè, per dormire o per passeggiare (magari con i cani) la trova aperta dalle 9 alle 24, coloro che desiderano conoscerne il “patrimonio librario” che custodisce devono invece riuscire a liberarsi dai propri impegni dalle 9 alle 14 (e fino alle 17 solo in un paio di giorni della settimana, mentre il lunedì la sala è chiusa).
Di fatto l'orario settimanale attuale è lo stesso e peggio distribuito (meno possibilità sul pomeriggio) di quello che questa biblioteca offriva al momento della sua fondazione, un secolo fa. Sul primo regolamento, del 1913, si può leggere che la biblioteca restava aperta per sei ore, cioè dalle 9 alle 12 e dalle 14 alle 17.
L'organizzazione della biblioteca appare ancora più irrazionale se si pensa che la sala Balducci (e l'attigua ex-sala lettura, nel caso ci sia una presentazione di libri) restano comunque aperte, con la presenza di personale, fino alle 19. Solo che allo scoccare delle 14 la sala “consultazione” si trasforma improvvisamente (direi, come la carrozza di Cenerentola) in sala “studio”: ossia i libri della biblioteca devono essere riconsegnati, vengono rinchiusi nel magazzino e la sala si può utilizzare solo per leggere i libri portati da casa (il cosiddetto servizio per la “pubblica lettura”, che non dovrebbe esaurire le funzioni di una biblioteca pubblica o essere il servizio prevalente e che sarebbe meglio definire “lettura privata in luogo pubblico”). (...)





"L'argomento « servizi ai lettori » o « servizi agli utenti » è decisamente uno di quelli che è difficile trattare in maniera radicalmente diversa da come sarebbe trattata in un qualsiasi manuale di biblioteconomia ...
I servizi al pubblico nella sezione locale non presentano particolari problemi di gestione, se non quelli derivanti dalla necessità, già più volte menzionata, di conciliare  rigorose esigenze di conservazione con la vocazione naturale alla più larga comunicazione dei materiali ...
In grandi biblioteche con cospicue raccolte di materiali, la sezione (o, in questo caso, il dipartimento) può disporre di proprie sale di lettura ...
Che siano attrezzature e spazi riservati o condivisi, quello che importa è garantire sempre e comunque, a questi utenti « privilegiati » della biblioteca, la possibilità di lavorare e riservare loro, se non un locale, almeno un tavolo o qualche posto a sedere, non a svantaggio di altri utenti che utilizzino comunque materiali della biblioteca, ma almeno dei cosiddetti utenti con libri propri, che hanno maggiori possibilità di trovare da qualche parte un posto al chiuso, una sedia e un tavolo, di quante ne abbia lo studioso locale o un laureando, di trovare in un altro luogo quel manoscritto, quella mappa, quel giornale, quella bibliografia ...
Va esaminata l' opportunità di istituire registri quotidiani di controllo, a fini statistici e conoscitivi e a fini di sicurezza, dei frequentatori della raccolta ...
E' nei servizi di informazione che la raccolta locale può dare, a livello di servizi al pubblico, il meglio di sé ...
L' importante è semmai che, nell' esercizio di essa, il bibliotecario sia sempre in grado di porre un freno al suo zelo e alla sua generosità sia nei confronti dell'utente comune - che egli deve indirizzare alle fonti e agli strumenti, senza arrivare a identificazioni e sostituzioni inopportune - sia nei confronti del ricercatore smaliziato e potenzialmente autosufficiente ... senza che il bibliotecario sbilanci il proprio impegno a favore del bisogno « personale », « privato » di un solo utente, sottraendolo alle esigenze degli altri lettori in misura eccessiva e per un tempo incompatibile con il suo dovere deontologico ...
A Cambridge, quando un utente richiede questo servizio, è invitato dalla biblioteca a compilare un modulo dove a sua volta dichiara se possiede una qualsiasi speciale conoscenza sull' argomento oggetto della richiesta o su qualsiasi altro argomento di studi locali; e se egli ha pubblicato articoli o libri. A questo punto si chiede al ricercatore se è possibile indirizzare a lui le richieste sull' argomento di sua competenza, nel caso che le risorse dell' istituto dovessero essere insufficienti."

(Rino Pensato, La raccolta locale, Milano, Editrice Bibliografica, 2000, pp. 175-181)

































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