venerdì 10 aprile 2020

Il coronavirus salverà le biblioteche

ULTIMA REVISIONE IL 12/5/2020 .
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La scorsa settimana ho tentato di inviare sul blog degli anonimi Wu Ming alcune riflessioni sulle prospettive delle biblioteche durante e dopo questo lungo periodo di convivenza degli italiani con l'emergenza coronavirus. Con mia iniziale sorpresa sono stato censurato e nessuno dei miei tre Commenti ha passato il filtro del “moderatore” del blog.
Anche se l'articolo che mi aveva suscitato qualche spunto è incentrato sulle librerie, Sisyphus. Il devastante impatto dell’emergenza coronavirus su librerie e case editrici, intervenire sul tema delle biblioteche non mi era parso fuori luogo perché nell'articolo queste sono ricordate accanto agli altri istituti culturali, sia pure per motivi strumentali:

“I lavoratori delle istituzioni culturali – sia pubbliche sia private – come musei e siti archeologici (ma anche delle biblioteche), spesso esternalizzati o assunti in appalto a terzi, dovrebbero essere internalizzati. La circolazione della cultura dovrebbe essere incentivata con spazi pubblici concessi gratuitamente a editori, musicisti, teatranti, per organizzare presentazioni, eventi, rappresentazioni, proiezioni, concerti, e altro ancora.”.

Non potendo inserire le mie riflessioni ho ripensato a questo vecchio blog dedicato proprio alle biblioteche ma che “trascuro” da quando ho avuto l'occasione di pubblicare due articoli esaustivi sul tema delle mille difficoltà a leggere nelle biblioteche italiane: il primo articolo sull'unica rivista di Biblioteonomia che ritengo autorevole, l'altro in una di Diritto Costituzionale (anche se nel frattempo è sparito un mio contributo sul rinnovato sito internet dei restauratori italiani del libro ...) **

Dopo quasi un anno di inattività di questo mio blog voglio anche ricordare il Gruppo Bibl'Aria col quale ebbi un periodo di scambi molto stimolanti, in particolare con Pietro Tumminello e Calogero Farinella. Purtroppo del loro ricco sito internet (www.biblaria-blog.splinder.com non più in rete come tutto il dominio "splinder.com" su cui era stato sviluppato) restano solo delle tracce, come una "pagina" isolata e un audiolibro che riproduce un articolo collettivo già pubblicato sulla rivista Il Ponte, fondata da Piero Calamandrei e pubblicata a Firenze.

Tornando al recente articolo dei Wu Ming, la mia sorpresa nel vedermi censurato in quel sito è stata solo iniziale e superata non appena letto nei Commenti che tra gli anonimi Wu Ming c'è anche un bibliotecario (rinvio alla Premessa nel mio "libretto" del 2010 che contiene una raccolta ragionata di brani scaricabile dalla "pagina" internet La Fruizione negata jimdo :
... Queste pagine hanno una storia particolare che passa attraverso tre delusioni che investono la figura del bibliotecario italiano e il tema dell' uso pubblico delle nostre biblioteche ...).
Per chiarire una volta per tutte questa affermazione voglio precisare che secondo il vocabolario il bibliotecario non è - come amano definirsi gli iscritti alla loro associazione nazionale - un "professionista" ("dell'informazione" o tanto meno di qualche attività tipica dei servizi sociali per la quale non ha alcuna competenza ...) ma è un dipendente pubblico che lavora in una biblioteca. Per cui in Italia o sono impiegati pubblici, o funzionari o direttori di biblioteca e in quanto tali non possono inventarsi il loro lavoro e scegliere le attività che vogliono offrire come se agissero sul libero mercato del lavoro. Visto all'interno di una biblioteca poi il bibliotecario dovrebbe essere, in senso stretto, chi si occupa del catalogo dei libri e degli altri strumenti bibliografici senza i quali è impossibile individuare un libro tra i tanti posseduti dalla biblioteca. Oppure il termine è utilizzato con riferimento a tutti coloro che sono addetti ai diversi servizi necessari affinché quei libri possano essere letti.
[in questi casi il lavoro può essere svolto da un privato (il quale prima di essere "internalizzato" dovrà superare un concorso pubblico...) dipendente di una ditta esterna che comunque dovrà eseguire le direttive dell'ente pubblico]
Eppure, come dirò tra poco, i nostri bibliotecari pubblici da decenni si sono reinventati il loro lavoro e trattano di attività lontane dalle problematiche dei lettori (come fanno i professori universitari di Biblioteconomia, spesso ex bibliotecari) fino a essere diventati portatori di una sottocultura dannosa e tutt'altro che “professionale”. Credo che la diffusione capillare e fortemente prevalente di questa impostazione tra chi si occupa di biblioteche spieghi molto più di altre variabili la disaffezione degli italiani per i libri e per la lettura.
Nei due Commenti degli anonimi Wu Ming ritroviamo un esempio di quella dannosa sottocultura bibliotecaria. 

Scrive tale Mushroom Rocker:
“Io dico sempre che le migliori amiche delle case editrici sono le librerie e le biblioteche. Chi frequenta le biblioteche diventa un lettore assiduo: chi non può permettersi un libro lo prende in prestito, ma anche chi prende in prestito molti libri poi altrettanti ne compra. Quindi è un’istituzione che giova a tutti. Sono un grande sostenitore delle biblioteche e sono stato anche bibliotecario, oltre che libraio ed editore.
Inoltre le biblioteche nei quartieri sono importantissimi presidi culturali ma anche sociali. Oltre a organizzare iniziative, dibattiti, presentazioni, sono anche un luogo frequentato da chi non ha casa e ha bisogno di un riparo dal freddo, di connessione internet, di un bagno. Non è un compito che dovrebbero svolgere le biblioteche, in teoria, ma è importante che lo svolgano e nella maggior parte dei casi lo fanno anche volentieri.
Però se sono chiuse non è colpa delle profumerie, come scrivo anche nell’articolo. Vorrei evitare guerre tra piccoli esercizi mentre invece grosse attività come industrie delle armi o call center sghignazzano.”.

Gli risponde tale Wu Ming 2:
“Purtroppo niente può sostituire una biblioteca aperta al pubblico, specie se ha una di quelle sezioni per bambini e ragazzi dove ci si può sedere, giocare, leggere, sfogliare, rotolare in libertà. Premesso questo, un briciolo del piacere di prendere a prestito un libro e sfogliarlo, lo restituisce in questi giorni la biblioteca digitale dell’Emilia-Romagna […] In pratica, hanno reso libero l’accesso al catalogo regionale dei libri digitali, che si possono scaricare e leggere sul proprio computer (fino a un massimo di 4 al mese e per un periodo di 15gg). […] In alternativa, ci sono sempre i siti con i romanzi di pubblico dominio, come liberliber.it, gutenberg.org, archive.org
Non è una biblioteca, non è un luogo fisico, però almeno sono storie, testi, romanzi. Gratis, per tutte quanti. Come nella sezione download di questo nostro blog.”

Quindi leggendo articolo e Commenti ci si rende conto che da un'idea di biblioteca giustamente affiancata ai musei e agli altri istituti culturali (con i quali ha in comune una raccolta non casuale di beni culturali da promuovere e mettere a disposizione di un pubblico più vasto possibile) si è passati alla ormai consueta (per i bibliotecari) idea riduttiva anzi distorta di biblioteca che purtroppo è tanto inutile per i lettori. Una entità che non è più una biblioteca ed ha scopi e contorni indefiniti: è un ibrido tra una ludoteca e un centro sociale che occupa l'edificio della biblioteca! Questo ibrido si sovrappone ma si discosta dalla biblioteca luogo ideale per la lettura dei libri a tal punto che sarebbe più serio e chiaro cambiarle nome, indicandola ad es. come biblioteka (luogo dove si può fare un po' di tutto, di dibattito ed eventi, di riparo dal freddo, di connessione internet, di gioco per bambini e ragazzi, nonché gabinetto della città; e altre mille varianti fin dove potrà arrivare la fantasia dei bibliotecari per giustificare il loro lavoro in un ente “pubblico”).
Altre osservazioni si possono aggiungere rileggendo i Commenti e ricordando la letteratura “professionale” che li ispira: (1) nell'idea di biblioteka la presenza dei libri è ormai ridotta solamente a quelli di recente pubblicazione che sono anche quelli che si possono prendere in prestito cioè portare fuori dal “luogo della cultura”. Di conseguenza nessuno si preoccupa se la lettura in sede delle raccolte è possibile solo per poche ore e in spazi limitati; (2) quando si fa riferimento alla lettura questa è associata solo al computer, ossia al testo digitale possibilmente letto anch'esso da remoto. (3) Chi si voglia focalizzare sulle problematiche dell'accesso non troverà alcun riferimento a uno dei mille problemi da risolvere per realizzare la fruizione dei libri ma disquisizioni sull' accesso a internet o sulle barriere architettoniche.



Quello che avrei voluto osservare nel sito Wu Ming e che sfugge agli anonimi commentatori è che oggi, in regime di coronavirus - ossia di distanza fisica di sicurezza tra le persone e di mascherine obbligatorie davanti alla bocca - il modello biblioteka (“presidio sociale”) crolla perché realizza un luogo dove è molto difficile garantire agli “utenti” la riduzione del rischio contagio. Parallelamente - e questo è il tema centrale - risorge con forza ormai inaspettata l'idea di biblioteca come luogo di lettura del libro.

E sarebbe ancora meglio definire la biblioteca - volendo dare significato all'espressione valorizzazione del patrimonio librario - come l'unico luogo dove grazie alla efficace presenza di indispensabili servizi finalizzati a una lettura attenta e protratta nel tempo ciascuna persona può realizzare in modo libero e imprevedibile centinaia di passaggi, associazioni e confronti tra autori, idee e contesti storici scoperti nella memoria scritta collettiva contenuta nelle raccolte non casuali di libri:

The reader may go from book to book, like a butterfly, and extract a phrase before dipping into another and another volume. “One book calls to another unexpectedly,” Manguel writes, “creating alliances across different cultures and centuries" 
(Alberto Manguel, così citato da Peter Ackroyd nel 2008. Qui:
http://www.atelieraldente.de/manguel_0h4/documents/Ackroyd%20The%20Library%20at%20Night.pdf)
Raccolte di libri che per essere adeguatamente indagate hanno bisogno che funzioni al meglio il luogo ideato appositamente per contenerle; luogo che spesso è a sua volta un bene culturale. Raccolte che non possono essere sostituite dalle copie digitali dei testi anche perché costituite da oggetti che sono dei beni culturali in quanto tali: realizzati con finalità, formati, conoscenze tecniche e componenti diversi nelle diverse epoche. Oggetti tridimensionali diversi tra loro capaci con la loro materialità di suscitare nel lettore una pluralità di rapporti: estetico, di curiosità e di suggestione temporale che lo aiuta a storicizzare quella memoria scritta. 

Ritengo significativo che anche in un altro articolo scritto in questi giorni (non a caso messo in evidenza sul sito emergenzacultura.org "coordinato" da Tomaso Montanari, dalla Associazione lettori Bncf, e altri …), Bibliotecari resistenti al virusnon si sia in grado di mettere a fuoco i cambiamenti che saranno costretti ad affrontare le biblioteche e i loro lettori.
Anche qui si esaminano i problemi dei bibliotekari (nel senso di coloro che svolgono in biblioteca una qualche attività inutile o quasi per la raccolta di libri posseduta e per i lettori). E di nuovo sembra non ci si renda conto di sostenere una idea di biblioteca che molto ha da temere dalle nuove problematiche conseguenti alla diffusione del coronavirus, con le quali dovremo imparare a convivere ancora a lungo:

“Una biblioteca non è solo un luogo fisico, è un collettore di esperienze, un catalogo, memoria, progettualità, libri, gaming, cd, dvd, responsabilità civica, giochi, formazione, informazione, letture ad alta voce, videogiochi, laboratori, digitale, servizi al pubblico, reference, sperimentazione. Elementi differenti ma uniti da un solo filo conduttore: il benessere sociale e culturale di quelli che la attraversano.”



Riflettendo oggi su simili approcci si può dire che fino all'avvento del coronavirus nella biblioteka l'obiettivo è stato relativamente facile: attirare numeri crescenti di “utenti” (meglio ancora se solo contatti virtuali) facendo leva sulla gratuità dell'uso dell'edificio. Dico utenti e non lettori perché purtroppo sono decenni che i bibliotecari italiani hanno rinunciato a porsi come obiettivo l'aumento dei lettori e la promozione delle raccolte della biblioteca. E l'abbandono dell'idea di biblioteca vera e propria per inventarsi nuovi “modelli” ha reso più facile gonfiare impropriamente le statistiche dei “lettori”, quelle che all'esterno giustificano la permanenza della biblioteca e le pretese di chi ci lavora verso l'amministrazione pubblica di appartenenza: la biblioteka è ormai uno strumento plasmato sulle esigenze dei bibliotecari (comunali, provinciali, ministeriali, ecc). Ma i numeri di quelle statistiche non rappresentano più lettori vecchi e nuovi: proprio per definizione di biblioteka!
Affermazione facilmente verificabile nelle più familiari biblioteche di quartiere ma valida anche per le biblioteche storiche (quelle che con più facilità vengono associate ai musei e agli altri istituti culturali).
Anche nelle biblioteche storiche, che già sono dai più praticamente sconosciute o erroneamente non considerate istituti culturali aperti al pubblico,
[ad es. quanti dei numerosi cittadini che possiamo vedere in coda fuori dal Museo degli Uffizi sono a conoscenza dell'esistenza, lì a pochi passi dietro le loro spalle, della Biblioteca degli Uffizi, il cui ingresso è gratuito per Legge ma che i bibliotekari negano o limitano a 2, 3 persone da loro arbitrariamente scelte? Perché simili Biblioteche non "promuovono", anzi, impediscono al pubblico la "fruizione" delle raccolte come prevede la Legge sui beni culturali? E allora a cosa servono dei dipendenti pubblici in questi "istituti culturali"?]
         anche nelle biblioteche storiche, dicevo, è normale imbattersi in bibliotekari che teorizzano e praticano l'idea di una biblioteka dove i libri fisici sono un pesante e polveroso sovraccarico di lavoro sostituibile con “la rete” e i lettori non sono necessari, anzi sono un disturbo, motivo per cui vengono dissuasi e selezionati all'ingresso applicando leggi abrogate da mezzo secolo. Chi avesse dubbi dovrebbe riflettere su quanti cittadini siano di fatto esclusi da quelle biblioteche per l' "abitudine" a concentrare il lavoro dei bibliotekari ministeriali sulla mattina (8 - 14) e la conseguente chiusura nel primo pomeriggio dell'intera biblioteca o dei servizi per la consegna dei libri ai lettori che non possono recarsi in biblioteca la mattina (magari perché lavorano, non perché troppo pigri per alzarsi presto!). O più semplicemente chi avesse ancora dubbi che il virus della biblioteka abbia contagiato solo le biblioteche contemporanee dovrebbe osservare il fatto che sono sempre più deserte le sale “riservate” (l'unico luogo dove gli ingiustamente privilegiati che riescono ad accedervi sono liberi di scegliere tra tutte o quasi le migliaia di libri, di tutte le epoche storiche, posseduti dalla biblioteca). Nelle sale riservate ormai da anni si vedono così poche persone che già oggi potremmo dare per scontato che lì la distanza di sicurezza tra i lettori sia assicurata!
[MIBAC - Direzione Generale per i Beni Librari. 2002: "In merito all'esposto ... relativo a presunte violazioni di legge ... Le particolari garanzie richieste per l'accesso alle sale riservate ... sono comuni anche ad altre biblioteche ... L'utilizzo di forme alternative ... non risolverebbe il problema ... perché si perderebbe quella minima garanzia data da una "lettera di presentazione"]
Perciò anche nelle biblioteche storiche si pone il problema di giustificare l'esistenza della biblioteca e di chi ci lavora, di “fare utenti”, con mostre e eventi che gonfiano i dati ufficiali sui presunti “lettori della biblioteca”. Infatti in quei dati si sommano impropriamente le presenze di tutti coloro che sono esclusi dalle sale riservate. Gli studenti che affollano i tavoli delle "sale lettura" dei libri più recenti i quali leggono solo il proprio libro portato da casa (sempre più spesso leggono solo sui propri pc) e le persone che entrano in biblioteca solo per il tempo di ritirare o riconsegnare un libro preso in prestito.
Infine non di rado le statistiche “dei lettori” sono totalmente inattendibili per un altro motivo. Perché rappresentano gli ingressi registrati anziché il numero di presenze reali. Mi riferisco al fatto che ogni giorno la stessa persona fisica che per entrare in biblioteca deve strisciare una tessera o passare da un tornello o riempire un modulo, statisticamente viene contata almeno 2 o 3 volte. È normale infatti che il lettore vero e proprio si trattenga ore in biblioteca e quindi nello stesso giorno esca dalla biblioteca per una o più pause (caffè oppure sigaretta o telefonata che sia) per rientrare dopo poco registrando nuovamente il suo ingresso: ma si tratta sempre della stessa persona! Le statistiche ufficiali sul numero di utenti delle biblioteche statali propongono quindi dati per eccesso e sono molto più inaffidabili rispetto ad esempio a quelle sul numero di biglietti venduti da un museo. E questo dovrebbe preoccupare l'Amministrazione locale o centrale (e qualche altro organo dello Stato con funzioni di controllo della spesa pubblica). Quando il numero crescente di cittadini che fruiscono degli istituti culturali diventi un indicatore di “performance” che premia con un salario aggiuntivo o “variabile” i bibliotecari pubblici, il costruire dati distorti per eccesso potrebbe portare danni ingiusti e pesanti alle già scarse risorse pubbliche (oltre a indurre comportamenti organizzativi opposti allo scopo di quegli istituti). Comunque, invito chi legge a provare a mettere in relazione il numero annuo di lettori dichiarato sulla Carta dei Servizi della biblioteca che conosce meglio con il numero di giorni effettivi di apertura e il numero di posti di lettura disponibili. Potrà capitare di dedurne che quei dati avrebbero senso solo nell'ipotesi che in media tutti i giorni dell'anno – compresi i mesi estivi, le settimane precedenti le festività nazionali e quelle successive alle sessioni di esami universitari - tutte le sedie sono state necessariamente occupate da più lettori (…).



Ma analizziamo questo triste panorama in prospettiva, dopo che le biblioteche e tutti gli istituti culturali sono stati chiusi. La necessità di rispettare il “distanziamento sociale” ci accompagnerà probabilmente fino alla scoperta di un vaccino che sconfigga il coronavirus. Fino ad allora “niente sarà come prima”.
La prima constatazione è che il coronavirus ha imposto un argine inaspettato al processo degenerativo di sostituzione dei lettori con gli “utenti”. Ma mentre la biblioteka (luogo di svago sociale) dovrà restare chiusa per anni la “vera” biblioteca (istituto culturale, luogo di lettura, dei possibili mille percorsi individuali di scoperta tra i libri che possiede) ha in se stessa le risposte contro il coronavirus! Addirittura le biblioteche [e gli archivi] potrebbero riaprire prima degli altri istituti, ad esempio dei musei, perché possono facilmente essere messe nelle condizioni di minimizzare il rischio contagio.



Basta riflettere sulle modalità di fruizione delle loro raccolte, ossia dei libri. La lettura richiede concentrazione, magari silenzio, ed è una attività individuale che si effettua seduti davanti a un tavolo senza bisogno di spostarsi da una sala all'altra e quindi senza il rischio di avvicinarsi accidentalmente agli altri utenti dell'istituto culturale o a chi ci lavora. Di più, si possono applicare immediatamente le semplici ed efficaci misure di prevenzione per chi ha bisogno di fermarsi in un luogo aperto al pubblico - quelle già sperimentate in bar e ristoranti – consistenti nel tracciare a terra dei percorsi obbligati e separati per chi entra e per chi esce e nell'alternare i tavoli che la singola persona può occupare (qui per leggere) con i tavoli lasciati vuoti. Questo purtroppo dimezzerebbe i posti di lettura attualmente disponibili ma allo stesso tempo potrebbe anche essere uno sprone a recuperare nuovi spazi per la lettura: come quelli oggi "occupati" dalle attività introdotte dalle biblioteke, o magari eliminando qualche vetrinetta che espone libri che così nessuno può sfogliare o utilizzando i lunghi corridoi degli edifici storici fino ad oggi lasciati vuoti.
Ancora, sarebbe utile recuperare un compito che era proprio degli addetti nelle prime biblioteche, almeno in quelle di un paio di secoli fa. Mi riferisco alla consegna diretta dei libri provenienti dal magazzino. Oggi i libri si potrebbero lasciare proprio sul tavolo vuoto più vicino al lettore, che rimarrebbe seduto al suo posto. Questo all'origine rispondeva a misure di prevenzione dei furti mentre oggi ben risponderebbe alla nuova esigenza di limitare al massimo le possibilità di contatto tra i lettori eliminando le file davanti all'ormai familiare banco della distribuzione.
Un altro adempimento a cui siamo obbligati a causa del coronavirus è il mantenere frequentemente pulite le mani. Ebbene è sorprendente ricordare che - come insegnano i restauratori - in una biblioteca prima di toccare le pagine del libro e di passare da un libro all'altro dovremmo fare lo stesso. Questa raccomandazione risponde al fondamentale scopo di contribuire a preservare il libro letto dal lettore di oggi per i lettori futuri: la difficile situazione di oggi potrebbe così stimolare il lettore a metterla in pratica senza fatica o pigrizia. Inoltre le biblioteche sarebbero spinte a rendere completo il catalogo elettronico (consultabile anche dalla postazione personale sul proprio pc) per limitare al minimo gli spostamenti verso il catalogo cartaceo.
Infine penso che avrebbe un impatto positivo anche una sospensione del prestito (dando per scontati orari di apertura della biblioteca lunghi e comodi) o almeno una sua limitazione ai libri moderni ma non recentissimi: quelli non più disponibili nelle librerie o "fuori commercio". Ciò sarebbe vantaggioso sia all'interno della biblioteca riducendo molto gli ingressi occasionali, sia all'esterno perché (contrariamente a quanto sostiene l'anonimo commentatore) limiterebbe il danno economico e la “concorrenza sleale” che da sempre le biblioteche fanno alle librerie, anch'esse duramente colpite dagli eventi determinati dalla diffusione del coronavirus.

Insomma, le riflessioni sulla situazione delle biblioteche italiane al tempo del coronavirus potrebbero sintetizzarsi così:

Il coronavirus ha chiuso le biblioteke e mandato a casa i bibliotekari. Se è rimasto qualche bibliotecario in Italia, speriamo che riapra al più presto le biblioteche! (*)





(*) Dovremmo riportare un po' la centralità sul materiale fisico ... Non possiamo prescindere probabilmente ... da alcuni strumenti del digitale. Mi interesserebbe moltissimo capire quanto gli strumenti del digitale effettivamente consentono un ritorno di presenze nei luoghi, cioè di frequentazione dei luoghi. Perché alla conoscenza del materiale ... con l'esperienza virtuale ... mi domando se poi corrisponda effettivamente la volontà di accedere al patrimonio - da parte delle persone che si sono avvicinate in questo modo ai libri, ai documenti, ai testi - oppure no 

(Melania Zanetti, Presidente AICRAB.
Oltre le mostre. Proposte per una diversa valorizzazione del patrimonio archivistico e librario.
Tavola rotonda del pomeriggio: Introduzione. VIDEO [dal minuto 3:05])





**  Recupero qui le sole parti originali di quell'estratto dal mio articolo del 2014:


La sfida culturale dei beni culturali, ovvero, 
Abbattere la fortezza: 
dalla biblioteca "di conservazione" alla biblioteca di fruizione. 

(...) Le biblioteche, non andrebbero più valutate solo per l'importanza delle raccolte, che immeritatamente si trovano a custodire in magazzini inaccessibili, ma per il numero di posti di lettura e i servizi a questa accessori che possono offrire ai lettori delle opere possedute. (...)
Grazie al livello medio-basso delle "informazioni" che offre, e all'innesto di innumerevoli attività improprie o che prescindono dalla lettura (tipiche di un centro ricreativo, di una sala giochi o di un internet point), la "biblioteca pubblica" sarebbe l'unica "aperta al pubblico": l'unica a cui può e deve rivolgersi la persona "comune". In questi termini la "biblioteca pubblica" è spesso implicitamente contrapposta alla biblioteca con opere antiche o “di conservazione” (o, appunto, "non pubblica"!). Questa contrapposizione si può facilmente riscontrare, sfogliando la letteratura, per un altro aspetto. Mentre gli scritti sulla "biblioteca pubblica" stupiscono per il loro numero e per le fantasiose proposte di innovazioni, sulla biblioteca di "conservazione" (come dice il nome stesso) vi è assoluta mancanza di nuove idee su come realizzare (impegnativi) servizi ai lettori, capaci di "valorizzare" il patrimonio librario custodito.
A cominciare dalla sperimentazione di aperture nel secondo pomeriggio e serali. In questo caso chiunque può verificare con immediatezza (sui siti delle biblioteche di tutta Italia) che i bibliotecari evitano il più possibile di garantire aperture al pubblico nelle fasce orarie pomeridiane e serali (le quali nella maggior parte dei casi sono possibili solo se presente personale di cooperative private o volontari). Ma sarebbe ingiusto pensare che ciò rappresenti un caso di pigrizia o addirittura di accidia. Gli orari di apertura, come tutti i servizi offerti da una biblioteca "di conservazione", compresi quelli che ai non "esperti del settore" possono apparire pratiche assurde o gravi "disservizi" (fino ai costi esosi delle riproduzioni dei libri: rinvio al sito Fotografie libere per i beni culturali), sono esempi di una secolare "professionalità" (giunta fino a noi dopo aver smarrito la consapevolezza delle diversità nella situazione e nelle problematiche che si volevano risolvere nel contesto originario). Gli orari di apertura e quelli di distribuzione dei Libri sono l'esempio di un'alta specializzazione nel prevenire i vagabondi, le letture frivole ed il guasto dei libri:

Nel caso che per la lettura sieno permesse le ore della sera, quali ne sono i vantaggi e quali gli inconvenienti? I bibliotecari più autorevoli hanno trovato e confermato in questo permesso tali inconvenienti da superarne i vantaggi. (…) Si osservò che particolarmente nelle grandi biblioteche, le quali contengono opere preziose e rare, le ore della sera non sono adatte alla lettura. Esse favoriscono principalmente le letture frivole ed il guasto dei libri, e quindi dovrebbero venir soppresse. All'incontro devesi raccomandare l'aumento delle biblioteche scolastiche, professionali e popolari. Particolarmente queste ultime dànno eccellenti risultati. È mirabile il vedere il rispetto col quale il povero, il semplice operaio riceve il libro che gli viene affidato (...) È desiderabile che queste biblioteche restino aperte il più dei giorni e delle ore possibili (Congresso statistico di Firenze 1867).

Del resto le restrizioni sono in vigore anche nei paesi più liberali. Al British Museum non si può entrare senza un biglietto personale, nelle biblioteche tedesche si ritarda la consegna del libro per tre ore, perché non esistono distributori che nelle biblioteche municipali, e una volta chiesto si può liberamente tenere fino al termine della lettura. In questo modo si allontanano tutti i vagabondi e si risparmiano tempo e denaro. (VI Riunione Bibliografica Italiana. 1904).

La Nazionale [di Napoli] è un posto per metà fausto e per metà infausto: tu vai alla mattina, accarezzi un po' il bidello e ti portano 10 manoscritti; ma quelli collocati dietro la porta in ferro bisogna restituirli alle 1,30, perché c'è una funzionaria che deve andare via alle 1,30. Sono vergogne che devono finire. Noi andiamo a studiare alla Vaticana e quando sono lì mi si apre il cuore. Padre Boyle è un eroe che dalle 7,30 del mattino fino a notte, è sul campo; e ogni volta che vado alla Vaticana trovo qualche novità. (Billanovich. 1994).


Di fatto, per le biblioteche "di conservazione", le periodiche doglianze sui livelli di retribuzione, sulla carenza di risorse e personale esauriscono lo spirito di autocritica sui servizi offerti:

Non si vuole giustificare una gestione delle biblioteche ( ... ) affidata alla semplice routine, priva di impegno e di volontà innovativa ( ... ) visibilmente insensata. ( ... ) È vero che il personale si riduce ( ... ) ma i rapporti con il pubblico, la cura delle sezioni ( ... ) sono spesso trascurati e senza alcuna giustificazione possibile. Si sente il peso di una tradizione che appunto ( ... ) ha fatto sì che il sistema bibliotecario italiano sia da molto tempo insufficiente. (Imbruglia. 2014).

Una mentalità curiosa, quella del conservatore che deve difendere l'oggetto, il libro, fino al punto di precluderne l'uso. Un illustrissimo collega, dotto uomo, che si chiama Armando Petrucci, forse il nostro migliore paleografo, anni fa chiedeva nella Biblioteca Nazionale di Roma, un volume presente nella riserva. Egli era forse uno dei due o tre cittadini al mondo in grado veramente di adoperarlo e fruirne. La richiesta di averlo in lettura gli fu negata, al che Petrucci rispose: «allora bruciamolo!». Effettivamente l'unica soluzione dinanzi a tanti divieti è bruciare, cosa che naturalmente non avviene. L'idea ottusa di conservazione sta portando a questo genere di assurdità. (Canfora. 2013).


Se si riflettesse su cosa voglia dire che anche il libro è un bene culturale, insieme all'utilizzo fuorviante dell'espressione "biblioteca pubblica", verrebbe superato anche quello strumentale della parola "studioso". Con il termine "studioso" non si indicano semplicemente gli utenti della biblioteca nel momento di leggere, studiare, approfondire, ma quei pochi lettori che abbiano dimostrato – ad insindacabile giudizio del bibliotecario – di possedere titoli, referenze e qualità valide per "essere ammessi" in una biblioteca del Ministero dei Beni Culturali e per avere accesso al libro- bene culturale (per brevità, Libro). Quel termine, nei regolamenti contra legem scritti dai bibliotecari "conservatori", rappresenta per alcuni un privilegio e per la maggioranza delle persone un ostacolo artificioso e insormontabile tra l'utente potenziale ed il bene culturale immeritatamente custodito. (...)
Non pare possibile riuscire a trovare una spiegazione razionale a un'idea tanto diffusa quanto assurda di "conservazione" e giustificare o comprendere il perché qualcuno voglia isolare il patrimonio librario dalla società civile. Forse, la strumentalizzazione delle cosiddette esigenze di "conservazione", le regole incerte, scritte in avvisi che variano a seconda delle esigenze (o della persona che reclama) o comunque non conformi alle fonti superiori (art. 26 DPR 417/1995), come l'indeterminatezza nell'uso del termine "studioso" e la distorsione del concetto di "biblioteca pubblica", sono solo i mezzi per mantenere una posizione di potere arbitraria e quasi paralizzante. Potere rispetto al quale nessun cittadino - dal lettore "comune" all' illustrissimo collega, dotto uomo - si può sentire al sicuro:

Di fronte all'impatto cumulato delle circostanze avverse, potrebbe venire spontaneo paragonare il bibliotecario ad una sentinella (...) : non conosce i libri, e non è quindi in grado di regolamentarne ragionevolmente l'accesso; considerato responsabile dell'integrità di un fondo senza avere la formazione necessaria, tenderà logicamente a privilegiare il suo ruolo di sentinella e a rifugiarsi in comportamenti radicali, ispirati non tanto dalla preoccupazione di tutelare i libri, quanto dal comprensibile desiderio di perpetuare la propria tranquillità (Maniaci. 2005).

Una fortezza è caratterizzata come un fenomeno monopolistico nell'ambito dell'organizzazione. L'isolamento ad oltranza e il ripiegamento su se stessa di cui fa prova un'unità organizzativa si traduce nel fatto che tale unità (...) si trova a controllare un'incertezza chiave per i terzi (...); questo controllo permette a questa unità d'imporre ai terzi le condizioni di scambio e le permette di fruire dei vantaggi relativi a una posizione di potere. Tale unità operativa si chiude al mondo circostante a cominciare dai rapporti con le unità con cui confina direttamente. Tale unità eleva le proprie procedure, le proprie concezioni ed i propri interessi al rango di criteri a valore assoluto, impone le sue regole del gioco agli altri e svolge una funzione conservatrice quasi paralizzante. (...) Abbattere le dinamiche della fortezza richiede una vigilanza molto acuta e una capacità d'intervento sofisticata. La cosa migliore sarebbe di prevenire (...) Il costo d'eventuali interventi tardivi o chirurgici – anche se alto – è più che giustificato. (...) L'effetto fortino non rappresenta un problema morale (...). L'effetto fortino è un cancro che appesta il collettivo e la capacità di gestire la complessità e che, non solo uccide gli abitanti del fortino, ma anche quelli dei territori circostanti. (Michaud, Thoenig. 2004).

La crescente, talvolta quasi risentita, sottolineatura della conservazione come compito primario delle biblioteche storiche ha indotto alla coniatura di una nuova (non mi risulta essere mai circolata nel linguaggio bibliotecario sino a un decennio fa) distinzione, quella fra « utenti propri » ed « impropri »: e questo neologismo non è rimasto racchiuso nel garbato, e quasi bizantino, limbo della precisazione terminologica, ma si è caricato di concretissimi effetti e di radicali discriminazioni (…) Ma una volta ammessa la liceità di erigere questo steccato, o addirittura questa barricata, nella folla (in realtà sempre benefica e mai troppo numerosa) dei lettori, con quale criterio si stabilirà chi accogliere e chi escludere? (Berengo. 1994).

Se fornire il libro al lettore è diventato compito troppo difficile e ritenuto comunque non essenziale, si lavora indefessamente a organizzare mostre, sui temi e sugli argomenti più diversi, con l'ovvia distrazione di personale e fondi da altri compiti, con la chiusura di sale, con il sequestro del materiale librario sottratto per molto tempo alla consultazione; e si diffonde sempre più l'idea che invece del libro basta fornire al pubblico una generica informazione sui libri via computer, umiliando così sia il lettore generico, che in realtà vorrebbe soprattutto leggere, sia il ricercatore che in genere di questo tipo di « informazioni » non ha bisogno, e che invece vorrebbe avere la possibilità di utilizzare al meglio, direttamente e rapidamente, il patrimonio librario conservato (...) Vanno al più presto restaurati e rispettati nelle biblioteche pubbliche statali: il diritto all'informazione, il diritto all'accesso, il diritto al libro, il diritto d'uso e di vivibilità (Petrucci. 1994). 

(...)
Le dinamiche della fortezza hanno agito già 10 anni prima del Codice. Le biblioteche "di conservazione" italiane neutralizzarono facilmente l'indicazione di "valorizzare" il nostro patrimonio librario, indicazione data dal Legislatore con l'introduzione di un nuovo regolamento generale delle biblioteche statali. (...)
Oggi potrei aggiungere che quella norma si è rivelata inadeguata a riformare il settore (anche) perché il Legislatore non ha considerato o ha sottovalutato le "resistenze culturali" del contesto su cui voleva incidere, lasciando troppa autonomia a una Amministrazione incapace di interiorizzare la sfida e innovarsi spontaneamente. Un errore di analisi e di metodo che – mi auguro - non sarà ripetuto nella nuova riforma annunciata quest'anno dal Mibact, la quale anzi dovrebbe consapevolmente ed esplicitamente essere elaborata e comunicata con l'obiettivo di abbattere le dinamiche della fortezza e sradicare il cancro dell'effetto fortino.
Le principali leve della regolamentazione del servizio dovrebbero essere disciplinate a prescindere dalla volontà della Amministrazione dei beni librari. Mi riferisco a un orario di apertura al pubblico (e della distribuzione) uniforme su tutto il territorio nazionale (con l'accorpamento di raccolte e personale non in grado di garantirlo), dove non si confonda l'orario di apertura (funzione delle "esigenze dell'utenza", secondo il buon senso e il D.Lgs. 165/2001, art. 2) con l'orario di lavoro (funzione dell'orario di apertura, non viceversa). A una tessera d'ingresso unica per tutti gli istituti (biblioteche e archivi), a un regolamento-tipo per tutte le biblioteche che il direttore- bibliotecario (o il direttore-restauratore ... ) possa integrare solo per i dettagli. Aggiungerei elaborazioni centralizzate (grazie alle tessere uniche) delle informazioni sul numero dei lettori e dei Libri richiesti (al netto degli ingressi per il prestito), a cui collegare il salario variabile degli operatori. E il divieto esplicito di qualsiasi attività diversa dai servizi per la fruizione delle raccolte custodite dalle biblioteche. A cominciare dalla cosiddetta "pubblica lettura" ovvero la lettura di libri propri (analogamente a quanto accade nei musei, dove nessun utente occupa le sale attrezzate per esporre al meglio un proprio quadro o la propria statuetta). Ancora, drastica riduzione delle mostre: solo in occasione di importanti acquisizioni, oppure per far conoscere cosa si fa per il recupero del Libro e per pubblicizzare il ritorno al pubblico del materiale restaurato (queste sarebbero probabilmente le occasioni ideali a cui collegare inviti al mecenatismo in favore della biblioteca ...). Ecc. Ecc.

Concludo con un augurio. Che la comunità dei restauratori del nostro patrimonio librario possa, nei suoi dibattiti e scritti, contribuire a superare l'idea ottusa di conservazione. E riesca a emarginare, con un approccio attento e razionale, le suggestioni "pseudo-tecniche" della biblioteconomia più recente, suggestioni dannose per tutto il settore della Conservazione. Arrivando anche a valorizzare e rendere patrimonio comune la dimenticata tradizione secolare delle Biblioteche Pubbliche qui richiamata (con la quale di recente si è raccordato anche il Legislatore italiano, con la definizione di biblioteca all'art. 101 del Codice dei Beni Culturali):

Rispetto a questi primordi c'è però una svolta storica che segna la storia dell'Europa, e non soltanto la storia del Paese in cui quel fenomeno si produsse: la Rivoluzione francese. La Rivoluzione è ritenuta, giustamente a mio giudizio, il fenomeno creatore della biblioteca in senso moderno, della biblioteca cioè che ha come destinatari i cittadini tutti. Essa nasce da un processo violento, cosa forse inevitabile (…) L'idea di base era portare alla Nazione – la parola Nation nella Rivoluzione ha un'importanza enorme, ( ... ) la Nation vuol dire tutti i cittadini, la totalità del corpo civico – la cultura nascosta dentro a queste realtà antiche, consolidate, che sono quella ecclesiastica e quella politica. (Canfora. 2013).

Regolamento della Biblioteca Salvatore Tommasi. (...) ART. 19 - La lettura è libera per qualunque persona e per ogni sorta di opere esistenti nella biblioteca. (L'Aquila.1884).


Si realizzerebbe così finalmente un'altra pre-condizione indispensabile per una sensibile crescita dell’interesse per la fruizione del nostro patrimonio librario e documentario. Parallelamente - è probabile oltre che auspicabile - aumenterebbe anche la disponibilità delle Istituzioni a investire nelle strutture bibliotecarie, nelle raccolte, nei cataloghi e nei restauri.


Berardino Simone
(utente occasionale "non studioso" di Biblioteche Pubbliche)
Settembre 2015.









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